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Adriana Gulotta

Coordinatrice delle Scuole della Pace, Comunità di Sant'Egidio, Italia
 biografia
Nel 2019 è stato celebrato il 30° anniversario della ratifica della Convenzione ONU sui Diritti dell’Infanzia e dell’adolescenza. È la prima enunciazione dei diritti che devono essere riconosciuti e garantiti a tutte le bambine e bambini del mondo. Tutte le nazioni, ad eccezione degli Stati Uniti, firmarono nel 1989 i 54 articoli per la tutela dei bambini, riconoscendo loro per la prima volta diritti sociali, politici, culturali ed economici. 
 
Per questo va promossa sempre più la conoscenza della Convenzione – e questa tavola rotonda in questo senso è importante-  e lavorare affinché gli Stati rendano effettiva la sua applicazione. La Convenzione chiede agli Stati firmatari di impegnarsi per tutelare “ogni fanciullo che dipende dalla loro giurisdizione, senza distinzione di sorta e a prescindere da ogni considerazione di razza, di colore, di sesso, di lingua, di religione, …o altro” (art. 2). Inoltre, si chiede che gli Stati adottino “tutti i provvedimenti appropriati affinché il fanciullo sia effettivamente tutelato contro ogni forma di discriminazione o di sanzione motivate dalla condizione sociale, dalle attività, opinioni professate o convinzioni dei suoi genitori, dei suoi rappresentanti legali o dei suoi familiari”.
 
Questa tutela effettiva trova nell’articolo 7 la sua espressione più chiara. E oggi vorrei parlare proprio di quanto l’art. 7 stabilisce: il primo dei diritti e il più elementare di essi. È il diritto al nome, cioè ad una identità legalmente riconosciuta. L’articolo 7 stabilisce che: “Il bambino è registrato immediatamente al momento della nascita e da allora ha diritto a un nome, ad acquisire una cittadinanza e, nella misura del possibile, a conoscere i suoi genitori e a essere allevato da essi”. Ma su 125 milioni di bambini che nascono ogni anno nel mondo, 51 milioni (più del 40% del totale) non vengono registrati alla nascita. Circa il 70% della popolazione mondiale vive in paesi con sistemi di registrazione delle nascite incompleti o insufficienti. 230 milioni di minori al di sotto dei cinque anni non sono registrati (il 35%). In Africa sub-sahariana sono 85 milioni e nell’Asia meridionale 103. 
 
Una parte dei bambini cresce, ma resta “invisibile”: non esiste, non conta, non rientra nella popolazione degli Stati. Bambini che non possono essere iscritti a scuola, né usufruire di qualsivoglia servizio. Se scompaiono, non possono essere reclamati dai genitori. Di loro non esiste un certificato di nascita, né un atto di registrazione, né altro documento che possa comprovarne l’esistenza. In quanto non-cittadini sono condannati all’illegalità, clandestini nel loro stesso paese.
 
L’iscrizione allo stato civile, infatti, vuol dire non solo possedere un certificato di nascita, ma avere un nome cui corrisponde una identità legale, essere cioè riconosciuti come cittadini dal proprio Stato. È un passo indispensabile per usufruire di diritti fondamentali quali l’istruzione, l’assistenza sanitaria e molto altro. Senza questo riconoscimento, da adulti non potranno essere assunti regolarmente, avere la patente, viaggiare legalmente, ereditare, sposarsi, votare ed essere eletti. Saranno persone senza diritti.  
 
Così, sono esposti ad ogni genere di abuso: dalla tratta, alla schiavitù, ai rapimenti, al traffico di organi, alla prostituzione, al matrimonio precoce, al lavoro forzato, all’arruolamento in bande criminali o in eserciti irregolari. 
 
Il diritto all’esistenza legale è decisivo per la vita dei bambini – un diritto di cui si parla ancora troppo poco- si tratta di qualcosa che tocca particolarmente le fasce più povere delle popolazioni e coinvolge intere comunità: negli slum asiatici, nelle baraccopoli delle grandi città africane, nei campi profughi, nelle comunità indigene latinoamericane, perfino in Europa... Per questo, le Comunità di Sant’Egidio in tanti paesi del mondo sono impegnate a restituire questo diritto, che rappresenta il requisito fondamentale per esercitare poi tutti gli altri. 
 
È una battaglia che Sant’Egidio conduce su un terreno -quella della registrazione allo stato civile- che nei nostri paesi occidentali può apparire un dato scontato, acquisito, mentre invece in tante nazioni è ancora da conquistare ed è decisivo per ogni società che si intende democratica. 
 
Non basta nascere per esistere ed essere cittadini del paese a cui si appartiene. Nascere non basta, recita il titolo del volume che racconta le tante difficoltà e i successi di questa battaglia della Comunità di Sant’Egidio. Pubblicato in italiano e portoghese uscirà a breve anche in inglese, spagnolo e tedesco. 
 
La registrazione allo stato civile non è solo un fatto tecnico, ma è un’azione insostituibile, uno dei doveri fondamentali di uno Stato. La sua assenza crea squilibri sociali di grandi proporzioni. Se infatti, la “non esistenza” ufficiale di milioni di persone apre la porta all’illegalità, allo stesso tempo è la struttura stessa dello Stato a venirne compromessa, quando interi settori della popolazione non possono esercitare il diritto di voto. Come parlare di Stato nazionale se non si riconoscono i propri cittadini? Come si può garantire lo sviluppo di una società, se intere fasce di popolazione non possono completare un ciclo di studi, accedere all’istruzione superiore, crearsi un profilo professionale, ma restano nel limbo di “non persone”, destinate solo ad una manovalanza che ricorda i “servi della gleba” del Medioevo europeo, masse di persone senza diritti destinati ad una sola economia di sussistenza?
 
Così, Sant’Egidio lavora da molti anni per il diritto all’esistenza legale dei bambini con un programma che ha come nome un acronimo Bravo! (Birth Registration for All Versus Oblivion – Registrazione della nascita per tutti contro le sparizioni), per renderli visibili, collaborando con lo Stato per facilitare l’iscrizione allo stato civile. Questo impegno nasce da una convinzione profonda: tutti i bambini devono avere un nome e un’identità e non si può accettare che si viva privi dei diritti fondamentali. 
 
Il programma Bravo”, che è gratuito per la popolazione ed è sostenuto da istituzioni o paesi sensibili al tema come il Principato di Monaco, si prefigge di promuovere la realizzazione di un efficace sistema di stato civile attraverso una serie di azioni. C’è l’azione di base, ovvero la realizzazione di spazi “di prossimità” per avvicinare le istituzioni alla gente e realizzare le registrazioni fin nei villaggi più sperduti, nelle maternità e anche nelle scuole per evitare che i bambini non possano proseguire gli studi. 
 
C’è poi un’azione di promozione culturale e sensibilizzazione delle famiglie sull’importanza dello stato civile, per prevenire i rischi della tratta, le sparizioni e più in generale lo sfruttamento dei più piccoli. Per fare tutto questo, però, bisogna anche conoscere le differenti realtà: dai villaggi rurali del Malawi, alla brousse del Burkina Faso, alle campagne mozambicane.
 
C’è poi un’azione a livello statale per collaborare con le amministrazioni al fine di ipotizzare strategie e soluzioni, mettere in atto azioni positive, superare le criticità, migliorare i regolamenti e le procedure. 
 
Se si visitano i campi profughi in Africa, in Asia o altrove, si può constatare che molti dei profughi che vi sono risultano privi di documenti, non solo perché fuggiti precipitosamente, ma anche perché ne erano già privi nei loro paesi, di cui non erano mai divenuti pienamente cittadini. Secondo le stime dell’Unicef, alla fine del 2022, è stato raggiunto un numero record di 43,3 milioni di bambini in condizioni di sfollamento forzato, molti dei quali per tutta la loro vita. Il numero di bambine e bambini sfollati, costretti a lasciare le proprie case è raddoppiato negli ultimi dieci anni. Sta crescendo, così, anche il numero degli “invisibili”. 
 
Proponendo soluzioni sostenibili economicamente, basate sulla conoscenza del territorio, il programma Bravo!, mette in moto un processo di formazione di una società civile composta da persone, possessori di diritti. 
 
Con pazienza e creatività (come nel caso del teatro mobile per sensibilizzare la gente nei villaggi, o quella dei banditori pubblici che avvisano in precedenza con canti e danze che avverrà in quel villaggio la “festa della consegna del certificato”), con capacità di dialogo con le istituzioni, con strategie semplici e praticabili (come quella di collocare nelle maternità un agente di registrazione o di offrire all’interno delle scuole la possibilità di iscriversi) si è riusciti a registrare milioni di bambini in tempi relativamente brevi. È così che più di 5 milioni di persone -grazie al programma Bravo!- sono diventati cittadini di Stati, poveri di risorse economiche, ma ricchi della risorsa più importante: le persone. È l’inizio di un processo virtuoso che mette al centro la persona, anche la più fragile, e fa scoprire diritti e doveri dell’appartenenza ad una nazione, mentre allo stesso tempo comunica il senso dello Stato e del bene comune. Molti uomini e donne -dopo essere stati iscritti- si sono trovati non più costretti a ricorrere a sotterfugi o a pagare per ottenere qualcosa che in realtà è un loro diritto. È un passaggio importante nella lotta alla corruzione che inizia anche così, “dal basso”, con una scelta semplice: essere iscritti allo stato civile come primo passo verso il pieno godimento di altri diritti. Si forma anche così la consapevolezza del proprio status di cittadini. 
 
In zone periferiche, file di migliaia di persone in attesa del proprio certificato confermano anche un grande desiderio di partecipazione democratica. Avere un’identità legale riconosciuta dallo Stato vuol dire sentirsi parte di una comunità nazionale, un passo importante per popolazioni marginali. Ci si ritrova a essere “in regola”, si comincia a sentire che la propria vita può non essere estranea alle vicende della nazione. Si comprende il valore delle regole condivise. Si allontana lo spettro di un’esistenza di seconda classe. 
 
Si tratta, in definitiva, di un servizio alla democrazia e alla stabilità di paesi scossi spesso da guerriglie o rivolte, in larga parte giovanili, violenze o atti di terrorismo. Penso al Burkina Faso o al Mozambico dove guerriglie di giovani jihadisti tengono in scacco intere regioni. Frustrati dall’assenza di prospettive, lasciati ai margini, questi giovani rischiano di diventare manovalanza utile per crimini di ogni tipo. Renderli cittadini – lo scopriamo ogni giorno di più- è in definitiva un sostegno alla pace e alla stabilità di un intero paese.
 
Tutto può partire da un atto semplice - semplice come l’iscrizione allo stato civile - che rappresenta un contributo importante alla realizzazione di una nuova società civile africana.
 
Nelson Mandela, grande vincitore della battaglia contro l’apartheid in Sudafrica, amava dire: “Puoi iniziare a cambiare il nostro mondo in meglio ogni giorno; non importa quanto piccola sia la tua azione. Un piccolo gesto può cambiare il mondo”. 
 
Credo che questo piccolo, grande, gesto -la registrazione di un bambino allo stato civile – potrà davvero cambiare in meglio il nostro mondo, contribuendo a un futuro di partecipazione e democrazia per milioni di persone.