23 Septiembre 2024 09:30 | Collège de France – Amphithéâtre Guillaume Budé
Intervento di Michael A. Köhler
Michael A. Köhler
Director General de Protección Civil Europea y Operaciones de Ayuda Humanitaria (ECHO)biografía
Porsi la domanda sul futuro dell’Europa può voler dire diverse cose: dubitare del futuro dell’Europa; temere che l’Europa non abbia un futuro; oppure invitare ad un dialogo su quale futuro riservare a questa Europa e su come modellarla. Ora, prima di passare all’azione, conviene definire il tema: cos’è l’Europa? Di cosa parliamo?
La questione non è facile come sembra di primo acchito. Quando si parla dell’Europa ciò che viene in mente è prima di tutto che è una definizione geografica: si tratta di un territorio convenzionalmente considerato un continente, delimitato ad ovest dall’oceano Atlantico e dal mare di Groenlandia, a nord dall’oceano Artico. Il limite meridionale è segnato dal mar Mediterraneo che la separa dall’Africa, mentre il mar di Marmara e il mar Nero segnano la frontiera con l’Asia occidentale. Il suo confine ad est venne fissato da Pietro il Grande ai monti Urali, al fiume Ural; alla costa nord-ovest del mar Caspio e al Caucaso si trova il limite tradizionalmente determinato, ma in mancanza di una separazione chiara e precisa, resta l’oggetto di controversie sull’appartenenza o no di un certo numero di paesi al continente europeo.
Vediamo che già la definizione geografica è caratterizzata da una certa mancanza di chiarezza: nell’antichità Europē è inizialmente un denominazione della Grecia continentale in opposizione al Peloponneso, alle isole e alla Tracia. Più tardi, per gli antichi greci, l’Europa non si estendeva «al di là del Bosforo e delle rive occidentali del mar Nero». L’Europa è materia da definire, anche in geografia. Soprattutto le frontiere orientali dell’Europa sono nella sostanza puramente politiche: il limite dell’Ural è dovuto ai cartografi dello zar Pietro I il Grande nel ‘700. Ora, già nell’’800 la frontiera fu spostata dalle alte creste del Caucaso verso il mar Caspio per giustificare l’annessione della Georgia e dell’Armenia all’Impero russo. Le frontiere sembrano fluide…
Ora voi mi dite che, quando in questo contesto parliamo dell’Europa, ovviamente non facciamo allusione alla geografia ma piuttosto all’Europa organizzata. D’accordo, ma anche questa Europa organizzata esiste in diverse forme. A cosa pensiamo?
- L’Europa del Consiglio d’Europa: creata nel 1949, con 46 stati membri dall’Islanda all’Azerbaidjan, con le convenzioni giuridicamente vincolanti come quella sui diritti dell’uomo e la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo per vigilare sul rispetto di questa convenzione, o p.es. la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla protezione dei bambini contro lo sfruttamento e gli abusi sessuali?
- O l’Europa dell'Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa: l’OSCE del 1995, succeduta alla CSCE del 1975 che include anche la Russia e le altre repubbliche ex-sovietiche come quelle dell’Asia centrale, ma anche gli Stati Uniti e il Canada?
- O piuttosto l’Unione europea: questa UE costruita sulle basi delle comunità europee del 1958 che, dopo la Brexit del 2020, conta 27 stati membri con 10 paesi candidati all’adesione in anticamera; questa Unione le cui regole e leggi reggono già molto tangibilmente il funzionamento delle nostre economie, delle nostre politiche, delli nostri sistemi giuridici e dunque delle nostre società?
Anche nel caso dell’Unione Europea la geografia ha il suo peso: ricordiamo le discussioni sul carattere europeo della Turchia di cui solo il 3% del territorio si trova nel continente europeo, con le sue frontiere definite tradizionalmente, per convenzione. Per quanto riguarda la delimitazione dei paesi candidati all’adesione alla UE, esiste anche un precedente: il Marocco ha presentato domanda di adesione nel 1987. Ma questa è stata respinta il 14 luglio 1987, soprattutto perché il Marocco non è situato geograficamente sul continente europeo.
Questi due casi rivelano già che per molti la questione di cosa sia l’Europa, o nel nostro contesto, l’Unione Europea, e a cosa essa serva, non è puramente geografica. L’Europa organizzata di oggi è piuttosto concepita come una scelta di civiltà, un’unità nella diversità legata dai suoi valori. Questo non è un fatto così nuovo. Già la famosa dichiarazione del ministro francese degli esteri Robert Schuman del 9 maggio 1950 che apriva la strada dell’integrazione europea, aveva come obiettivo una fusione del quadro della regolamentazione per le industria-chiave soprattutto di Francia e Germania Ovest, per assicurare allo stesso tempo la pace e la prosperità nel continente (o più precisamente, nella sua parte occidentale).
Oggi la costruzione europea si basa su due elementi combinati: da una parte la sua utilità per gli Stati membri e per i cittadini e la sua capacità di assicurare la loro prosperità, la loro sicurezza e la pace, e dall’altra i valori comuni di questa Europa che essa promette di assicurare a questi cittadini.
Guardiamo più da vicino, a titolo di esempio, il caso della Germania. Un sondaggio realizzato da «More in Common Deutschland» nella primavera del 2024 evidenziava che i tedeschi hanno un atteggiamento ambivalente rispetto alla UE: meno del 55% riconosce che l’Unione è democratica e il 53% pensa che l’appartenenza della Germania alla UE sia una buona cosa. Una maggioranza di cittadini considera l’Unione una necessità, soprattutto in un periodo di incertezza e di crisi, ma allo stesso tempo non c’è entusiasmo per l’Europa. Le persone vedono carenze evidenti nella UE e auspicano un’istituzione che funzioni meglio e che si occupi dei loro problemi.
Si potrebbe dire perciò che i cittadini abbiano un atteggiamente utilitaristico verso l’Unione Europea. Vedono soprattutto la sua utilità, criticano i suoi meccanismi e le sue scelte politiche. E’ interessante, e forse comprensibile, che le persone si esprimano così maggiormente sul funzionamento concreto del meccanismo dell’Unione Europea. La questione del «sì» o «no» all’Unione Europea dipende dalla domanda su «a che pro» o «a quale scopo» dell’Unione Europea.
Certo non è tutto oro quel che luccica, ma l’azione europea svolge un ruolo importante e utile per la prosperità delle nostre società. La pace e la prosperità così come i grandi temi strutturali come il mantenimento della competitività, il cambiamento sociale in un’epoca in cui le società stanno invecchiando, la gestione del cambiamento climatico, la promozione dell’innovazione nell’economia e nella società, la digitalizzazione, la sicurezza e le politiche di migrazione e d’asilo – e sono solo alcune delle grandi sfide strutturali – non potranno essere affrontate senza l’Europa.
Sembra evidente che l’Unione Euroepa ha un valore pratico per i cittadini. Ma basta a legittimare l’UE e la sua azione che questa Unione sia semplicemente utile? Se riusciamo a trovare delle risposte ragionevolmente soddisfacenti alla domanda «a che fine»? Oltre alla questione di «a che fine» si pone quella del «perché» dell’unificazione europea. Rispondere a questa domanda ci porta al di là della dimensione dell’utilità. Ci porta nel campo dell’identità, dei valori e dell’autodefinizione delle nostre società, e dunque della legittimità che non è soltanto formale e giuridica.
In realtà l’Unione europea si concepisce come un’unione dei valori, come una scelta di civiltà. L’articolo 2 del trattato di Lisbona definisce più precisamente:
« L'Unione si fonda sui valori del rispetto della dignità umana, della libertà, della democrazia, dell'uguaglianza, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze. Questi valori sono comuni agli Stati membri in una società caratterizzata dal pluralismo, dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini. »
Concepire l’unificazione europea come un insieme di valori ha delle conseguenze più ampie del fornire argomenti a discorsi della domenica. L’articolo 3 e è già molto concreto;
«(1) L'Unione si prefigge di promuovere la pace, i suoi valori e il benessere dei suoi popoli.»
La procedura dettata dall`articolo 7, che è diventata nota al grande pubblico solo per la questione ungherese, permette di prendere delle misure che arrivano fino all’eliminazione del diritto di appartenenza nei confronti di uno Stato membro, in caso di grave violazione dei valori dell Unione.
E l’articolo 6 non vincola soltanto l’Unione alla Convenzione europea dei diritti dell uomo, le cui disposizioni diventano in questo modo applicabili in tutta l’Unione, ma conferisce allo stesso modo alla Carta europea dei diritti fondamentali del 2000 forza di legge di diritto primario in tutta la UE, vale a dire uno statuto quasi costituzionale.
In questo contesto vorrei fare riferimento all’appello comune delle Chiese cristiane in Germania rivolto in occasione delle elezioni europee dello scorso maggio. In questo appello, la presidente in carica del Consiglio della Chiesa protestante in Germania (EKD), il presidente della Conferenza episcopale tedesca e il presidente della Comunita di lavoro delle Chiese cristiane in Germania (ACK) sottolineano:
«L'UE si fonda su valori e principi che il cristianesimo ha contribuito a forgiare e a promuovere. Come chiese cristiane chiediamo e ci impegniamo per una UE che riconosca la dignità inalienabile ed eguale
di tutti gli esseri umani. La protezione di tale dignità passa attraverso l’impegno in favore della libertà, della democrazia, dell’uguaglianza dei diritti, dello Stato di diritto e del rispetto dei diritti umani».
Una Unione Europea che garantisce la pace tra gli Stati membri, che ha contribuito alla riconciliazione tra i popoli del nostro continente, che è fondata sul diritto e la giustizia e che non si accontenta di promettere ai suoi cittadini la libertà, la solidarietà e la non discriminazione, ma che prevede anche dei meccanismi politici, giuridici, amministrativi e finanziari per tutelare questi valori nella pratica quotidiana. Una Unione Europea che rispetta la religione e le convinzioni personali. Una Unione Europea cosi non è molto vicina a valori profondamente cristiani? Valori come il perdono e la riconciliazione, la pace, l’amore del prossimo e la solidarietà, la giustizia e il rispetto della dignità umana?
Una politica europea per la protezione mondiale della dignità di tutti gli esseri umani è indispensabile verso i profughi, i migranti e i richiedenti asilo, nell’impegno per preservare il creato e proteggere il clima, così come nella prospettiva di garantire un approvvigionamento mondiale, del sostegno ai paesi in via di sviluppo e in modo tutto particolare per un’idea europea di pace. Di fronte a questa e ad altre sfide, la UE deve essere forte e unita.
Questa analisi delle motivazioni e delle fonti di legittimità della costruzione europea mostra anche i possibili punti sensibili di attacco da parte dei detrattori:
I valori : L’Unione Europea viene criticata e addirittura attaccata da una parte dall’estrema destra attualmente in crescita un po’ dappertutto in Europa e nel mondo, ma anche dall’estrema sinistra sia per i suoi valori, sia per la percezione del mancato rispetto dei valori stessi nella pratica politica quotidiana, sia per la percezione che certi valori o la loro attuale interpretazione siano imposti alle società degli stati membri. Quello che rende intrinsecamente vulnerabile la UE in tale contesto è il fatto che essa può funzionare soltanto come una gigantesca macchina di compromessi. Ora, i compromessi raggiunti devono essere discussi e spiegati al grande pubblico e questo rappresenta una grande sfida in un’Europa che è separata dal suo multilinguismo (malgrado l’attuale posizione dominante dell’inglese come lingua veicolare), dalle modalità di dibattito abbastanza differenziate e dai paesaggi mediatici che differiscono da un paese europeo all altro.
L’utilita dell’Unione : « The proof of the pudding is in the eating » dicono gli inglesi – la prova del pudding è che si possa mangiare: i cittadini vogliono vedere che l’UE è utile per loro. Ne va della sua legittimità. Dagli anni cinquanta l’UE emergente ha contribuito a dare agli europei quello che essi reclamavano di più dopo la tempesta che ha inghiottito tutto, rappresentata dalla seconda guerra mondiale: la pace, la prosperità e la prospettiva del benessere. Nonostante le guerre nei Balcani occidentali 30 anni fa e l’aggressione russa contro l’Ucraina, il mantenimento della pace sembra oggi meno prioritario per gli europei (ovvero meno atteso dall’Unione europea) rispetto a 70 anni fa.
La prosperità c’è, ma tutti sentiamo i rischi enormi e i pericoli strutturali che abbiamo di fronte nell’attuale momento storico per conservarla: la mancanza d’innovazione, la scarsa competitività di alcune delle nostre industrie chiave, l’invecchiamento della società, l’esplosione della spesa sociale e del debito pubblico, la precarietà, l’assenza di coesione sociale e tra gli Stati membri dell’UE …
Allo stesso tempo sorgono nuove sfide per le quali l’Unione Europea non sembra ancora aver trovato delle soluzioni efficaci e durevoli: l’immigrazione illegale, una percezione di perdita di controllo in materia di sicurezza generale e di controllo delle frontiere, il sentimento che il nostro stile di vita possa essere minacciato dai profondi cambiamenti strutturali della società – spesso dovuti a sviluppi le cui cause sono, a torto o a ragione, attribuite all’azione o all’assenza di azione, a livello europeo.
In questa situazione di incertezza crescente, per molti, e non soltanto per i populisti nazionalisti, il buon vecchio Stato nazionale – come forse lo pensiamo con una buona dose di nostalgia complletamente astorica – sembra rappresentare la promessa di un mondo intatto. Un modello che per alcuni sembra più facile, più sicuro e più comrensibile di un’Unione Europea spesso incompresa, lontana e della quale i nostri responsabili politici nazionali adorano raccontare tutti i mali possibili o immaginari.
L’Europa è sempre la promessa del progresso e del futuro per noi, per i cittadini e per i nostri stati ? Sono convinto che anche per le giovani generazioni l’integrazione europea sarà la via verso un futuro pacifico e prospero. Questo è il buon insegnamento che trarremo dalla nostra storia. Esiste davvero un modello che ci convinca di più ? La Cina? La Russia? L’India? Gli Stati Uniti certo liberi e dinamici, ma senza le nozioni di giustizia e di rete sociale? Allora bisogna
- Che l’Unione Europea serva tangibilmente e visibilmente i cittadini, che sia più inclusiva, che spieghi se stessa e che mostri più rispetto per le tradizioni e i sentimenti nazionali e regionali,
- Che sia più credibile ed aperta per quanto riguarda la definizione, l’interpretazione, l’applicazione e la difesa dei suoi valori, e più inclusiva e rispettosa delle tradizioni nazionali,
- Che faccia di più per dotarsi di una vera base popolare, con dei partiti politici, delle organizzazioni sociali e dei media più transnazionali ed europei, che essa sia più leggibile per i cittadini e dia loro più possibilità di partecipazione.
L’esperienza della BREXIT non ha risolto nessun problema per la Gran Bretagna; ne ha creati molti nuovi, che non esistevano prima. Traiamone un insegnamento ! L’Europa – questa Europa dei nostri valori, della nostra pace, della nostra prosperità – non esiste così, ma si crea, si vive, si sviluppa e si difende di nuovo tutti i giorni. Attraverso di noi.