Oggi ci sono sempre meno sopravvissuti che possano raccontare dell’olocausto. Guardare al passato sembra a molti superfluo. Anche i giovani si interessano poco alla storia del loro stesso paese. Certamente esiste una cultura pubblica della memoria: nelle occasioni ufficiali i politici ricordano sempre la shoà e la propria responsabilità a tale riguardo. Ci si può chiedere però fino a che punto questa memoria, in Germania e in Europa, sia veramente un bisogno interiore e un desiderio. Molti oggi si esprimono su questa questione, sostenendo che prima o poi la si debba smettere con questa memoria.
Su questo tema ha scatenato un imponente dibattito pubblico il noto intellettuale tedesco Martin Walser, con un discorso in occasione della consegna del premio per la pace degli editori tedeschi, uno dei più prestigiosi premi tedeschi, nella chiesa di San Paolo a Francoforte, l’11 ottobre 1998.
Cito innanzitutto le parole di Walser: "Se però sui media mi viene ricordato ogni giorno questo passato, allora mi accorgo che c’è qualcosa in me che fa resistenza contro questa continua esibizione della nostra vergogna. Quando mi accorgo che qualcosa in me vi si oppone, allora tento di analizzare i motivi per cui ci viene rinfacciata la nostra vergogna, e sono quasi contento quando mi sembra di riuscire a scoprire che il motivo sotteso spesso non è tanto la memoria e il dovere di non dimenticare, quanto piuttosto la strumentalizzazione della nostra vergogna per scopi attuali. Auschwitz non è adatta a diventare un monito di routine, utilizzabile in ogni momento come mezzo di intimidazione o bastone morale, oppure semplicemente come esercizio del dovere". Fine della citazione. Walser è sicuramente al di sopra di ogni sospetto di antisemitismo. Ma non ha forse superato il limite, e reso socialmente più accettabile l’opinione che la memoria a un certo punto debba trovare una fine?
Nessuna delle nostre società europee è immune alla diffusione al suo interno di pensieri discriminatori e razzisti. Perciò la memoria della shoà è ancora oggi una necessità vitale per l’umanità contemporanea.
L’ebrea romana Settimia Spizzichino, alla quale noi della Comunità di Sant’Egidio eravamo legati da una profonda amicizia, una volta disse:
"Se noi sopravvissuti non teniamo desta la memoria di ciò che è successo, allora per quale motivo siamo sopravvissuti? Cosa succederà quando noi non ci saremo più? Si perderà la memoria di queste atrocità?"
Studi attuali mostrano come nella società tedesca la tendenza all’odio verso gli stranieri, all’antisemitismo e al radicalismo di destra sia aumentata in maniera estremamente preoccupante.
Sta aumentando il numero dei neonazisti, che vorrebbero un regime secondo l’esempio della Germania nazista. Secondo le informazioni del Verfassungsschutz (l'organo della Repubblica federale tedesca incaricato di vigilare su ogni forma di estremismo) nel 2007, il loro numero era salito del 5% rispetto al 2006. I neonazisti tentano un proselitismo mirato tra i giovani attraverso musica e filmati trasmessi via internet.
In uno studio dell’Università di Lipsia del 2007 è emerso che il 26,7% degli intervistati condivideva affermazioni di odio per gli stranieri. Il 9 per cento dichiarò di considerare, da un certo punto di vista, la dittatura come la migliore forma di stato. Il 15,2 per cento vorrebbe un "duce" dal polso di ferro, il 26 per cento desidera un partito unico, che rappresenti la "Volksgemeinschaft", la comunità di popolo.
L'odio razziale viene espresso con "preoccupante naturalezza": questo vale anche per persone che in precedenti ricerche non si erano segnalate per affermazioni di estrema destra.
Il modo di affrontare il passato nazista ha, secondo questo studio, anche una grande importanza nella formazione del pensiero di estrema destra: il rifiuto di confrontarsi con la realtà della dittatura nazista favorisce il formasi di un pensiero di estrema destra.
Secondo lo studio di Lipsia il 38 per cento della popolazione sottoscriverebbe l’affermazione: "La Germania è pericolosamente estraniata per colpa dei tanti stranieri". Un quarto risponde positivamente alla frase: "Ciò di cui adesso la Germania ha bisogno è un partito unico che incarni l’intera comunità di popolo". Il 16 per cento degli intervistati nella Germania ovest sottoscrive l’affermazione: "Se non ci fosse stato lo sterminio degli ebrei, oggi Hitler sarebbe considerato un grande capo di stato". Il 21 per cento sottoscrive la dichiarazione: "il potere di influenza degli ebrei è ancora oggi troppo grande". Il 22 per cento della Germania ovest concorda con l'affermazione: "Gli ebrei sono diversi e particolari e non si possono tanto adattare a noi".
Anche la violenza pubblica contro gli stranieri e contro i deboli sta aumentando. All’inizio di agosto di quest'anno, a Kisleta, una piccola città dell’Ungheria orientale, durante la notte è stata uccisa con un fucile da caccia una donna di 45 anni e sua figlia di 13 anni è rimasta gravemente ferita. Quella donna è stata uccisa solo perché era zingara.
Spesso sono i rom, poveri tra i poveri, il capro espiatorio per gente arrabbiata, spaventata e preoccupata.
L’antigitanismo è davvero preoccupante, come mostrano anche le reazioni di quelli che da una parte condannano gli episodi di violenza accaduti, ma d’altra parte affermano che bisogna anche considerare le difficoltà che gli zingari causano al resto della società, e gli atti violenti che loro stessi commettono. Mai un gruppo etnico o religioso è responsabile collettivamente per le violenze o per i problemi causati da uno dei suoi membri.
Da molti anni è per la Comunità di Sant’Egidio una preoccupazione capitale quella di ricordare l'orrore della shoà e di fare memoria con rispetto e compassione delle sue vittime. Abbiamo la ferma convinzione che questo terribile passato non possa essere coperto dall'oblio, ma che ancora oggi abbia moltissimo da dire alle giovani generazioni. Sostare di fronte a questi orrori cambia la nostra coscienza e forma in noi il senso dell’umanesimo.
Il fondatore della Comunità di Sant’Egidio, Andrea Riccardi, è un convinto sostenitore del fatto che la memoria della shoà debba essere un fondamento dell’ideale europeistico. Ha detto: "Quando si parla di Europa, per prima cosa mi reco idealmente ad Auschwitz per ricordare i milioni di donne, uomini, bambini a cui è stata rubata la vita. Quanti anni rubati! Milioni di ebrei, che nonostante il secolare odio antisemita vivevano nel nostro continente, sono stati uccisi senza motivo. Non c’è mai un motivo per uccidere, ma l’ebraismo è stato distrutto perché ricordava alla follia nazionalsocialista l’esistenza di un legame di senso al di là del culto razziale. Insieme agli ebrei sono state uccise altre centinaia di migliaia di persone: gli zingari, il piccolo popolo nomade europeo senza nazione e nazionalismo, i polacchi, gli slavi, gli handicappati e molti altri. Il pensiero sull'Europa deve partire da Auschwitz."
Ricordare significa ripetere: mai più. Per questo in molte città europee la Comunità di Sant’Egidio si fa promotrice ogni anno insieme alle comunità ebraiche di una memoria della deportazione degli ebrei di queste città. Insieme a rappresentanti delle Chiese, della politica e della società civile scendiamo nelle vie e percorriamo un tratto del cammino che allora gli ebrei dovettero percorrere verso i Lager.
Per molti abitanti delle nostre città, giovani e anziani, cittadini e stranieri, questa è un’ occasione per far memoria del terribile passato e per trarne insegnamento.
Possediamo una eredità che dobbiamo trasmettere ad altri, soprattutto alle giovani generazioni.
È l’eredità dell’umanesimo e della pace che abbiamo ricevuto. Con tutta la forza ci vogliamo impegnare, affinché non ci sia più spazio per nessuna forma di intolleranza e razzismo, né nelle nostre società, né altrove nel mondo.
La guerra mondiale ha mostrato l’abisso apocalittico del male: Auschwitz…., Dopo l’abisso, si poteva tornare come prima, a combattersi come sempre? Bisognava colmare l’abisso! Dall’abisso di Auschwitz è partito il processo costruttivo che ha portato ai Trattati di Roma, nel 1957, ai passi successivi fino all’Unione Europea.
L’iniziativa che vorrei qui sinteticamente descrivere si chiama: "Non c’è futuro senza memoria. Giovani europei per una cultura del convivere". Molte città e paesi europei partecipano a questa iniziativa. Sant’Egidio ha fondato questa iniziativa, "giovani europei per una cultura del convivere". Questo movimento vuole trovare una via perché i giovani europei possano scoprire le radici dell’Europa contemporanea. L'Europa ha posto le fondamenta per un continente senza divisioni, nella coabitazione tra popoli, proprio come risposta alle tragedie della seconda guerra mondiale e soprattutto alla shoà.
Sono convinto che, anche partendo dai drammi della storia, si possa suscitare l’entusiasmo dei giovani per il sogno di un futuro più umano. Vorrei concludere con una citazione del maestro ebraico Hillel, vissuto ai tempi di Gesù: "Se mancano gli uomini, tu sforzati di essere uomo".
Questo dobbiamo provare ad essere, perché il mondo ha bisogno di uomini e donne forti nella fede.