Partager Sur

Milena Santerini

Università Cattolica del Sacro Cuore, Communauté de Sant'Egidio, Italie
 biographie
Il male prende mille forme. Può emergere in forma epica con i grandi sconvolgimenti della storia , nei campi dove ci si chiedeva “ se questo è un uomo”, nei deserti dove hanno marciato e marciano ancora migliaia di disperati verso il nulla, nelle macerie di Aleppo e nel pianto dei bambini siriani, nelle carceri africane dove non c’è acqua, nell’esodo dei Rohingya. 
Il 29 settembre del 1944 a Cerpiano, sull’Appennino bolognese, a Montesole, 49 persone, venti bambini, due vecchi quasi invalidi e 27 donne, tra cui le maestre e la bidella della scuola, vengono chiusi dalle SS nell’Oratorio dell’Angelo custode e uccise con le bombe a mano lanciate da fuori. 
 
I travestimenti del male
 
Ma il male non si esprime solo in modo grandioso, con le catastrofi dei genocidi e della morte di massa. Ci sono anche i travestimenti del male. 
 
Il male può comparire in forma di ragionevole dubbio. Quando si getta il discredito sulle navi che salvano gratuitamente i naufraghi nel Mediterraneo e si accusa chi organizza i soccorsi di farlo per interessi economici, questa forma di male insinua il dubbio che tutto, nel mondo, sia malato e corrotto e che non valga la pena di fare il bene.
 
Il male si nasconde nella tentazione dell’ora calda del giorno, quando suggerisce al monaco del deserto l’accidia, la malinconia, il senso di vuoto e di impotenza, una quieta indifferenza.
 
Il male cresce nel linguaggio d’odio che viene considerato banale, in fondo innocuo ma che inquina come un veleno la convivenza umana. Assistiamo oggi a una forma particolare del Male, che è la sua esibizione, per normalizzarlo e farlo sembrare inoffensivo.
 
Oppure è una proposta di qualcosa di bene, travestita da amicizia. Come a Gesù nel deserto la tentazione del bene si presenta in modo affascinante. Come ha scritto il cardinal Martini, siamo deboli, fragili di fronte a questi travestimenti del Male.
 
Stranieri morali
 
Nel Novecento e nel nostro secolo abbiamo visto il male assoluto colpire vittime innocenti. Lo erano i bambini armeni, ebrei, oggi quelli siriani o africani. 
Ma c’è anche una scena del male più complessa che ci mostra come non ci siano confini così netti che separano i persecutori dagli altri, anzi come ci possano essere innumerevoli complicità, piccole e grandi. Tutti - in vario modo  - possiamo costruire il male, ognuno con la propria partecipazione. Stanley Cohen ha descritto i tanti modi con cui possiamo negare la solidarietà agli altri, come si diventa STRANIERI MORALI: 
 
Sostegno ideologico – gli osservatori che condividono la visione del mondo dei colpevoli, ovviamente, non intervengono. Delega di responsabilità , quando si aspetta che siano gli altri ad aiutare; paura – di diventare noi stessi una vittima; diniego – bloccare ogni comprensione del significato dell’evento; mancanza di empatia; confini – le vittime sono fuori dal nostro universo morale; routine e desensibilizzazione – ogni elemento in più di sofferenza diventa prevedibile, normale, senza alcun imperativo speciale per rispondere. Potremmo finire tutti nella zona grigia di cui parla Primo Levi, la fascia delle “mezze coscienze”.
 
 
La moltiplicazione del male
 
Viviamo tutti la tentazione di non impedire il male, e quella di moltiplicarlo. 
La pena di morte moltiplica il male, lo sparge nel mondo.  La Comunità di Sant’Egidio da decenni lotta contro la pena capitale. Eppure si può resistere. Hanno resistito quelli che non hanno cercato la vendetta. Lo ha fatto Liliana Segre deportata tredicenne ad Auschwitz che rifiuta di vendicarsi delle guardie del campo una volta liberata.
 
La storia dell’umanità ha creato una catena del male e della vendetta, una continua imitazione della violenza. Tutti i miti nella storia dell’umanità giustificano la violenza con la figura del capro espiatorio. Nell’ordine della storia la comunità non viene mai considerata colpevole; bisogna quindi -come spiega René Girard- scegliere una vittima sacrificale per la salvezza di tutti. La colpa è sempre dell’altro. Solo Gesù resiste e non cerca un’altra vittima su cui scaricare la colpa, ma accetta la morte anche se innocente. E’ la vera novità della storia. 
 
Hanno resistito, interrompendo il circolo mimetico della violenza, quelli che hanno attraversato -come Claire Ly - la notte cambogiana, trovandovi il senso della  fede.
 
Ha resistito Christian de Chergé monaco trappista ucciso con sei confratelli in Algeria nel 1986 in circostanze ancora oscure, rifiutandosi di essere solo vittima, solo martire. Scriveva nel testamento: 
Ho vissuto abbastanza per sapermi complice del male che sembra, ahimè, prevalere nel mondo, e anche di quello che potrebbe colpirmi alla cieca. Venuto il momento, vorrei poter avere quell’attimo di lucidità che mi permettesse di sollecitare il perdono di Dio e quello dei miei fratelli in umanità, e nello stesso tempo di perdonare con tutto il cuore chi mi avesse colpito. Non potrei augurarmi una tale morte. Mi sembra importante dichiararlo. Non vedo, infatti, come potrei rallegrarmi del fatto che questo popolo che io amo venisse indistintamente accusato del mio assassinio. 
 
Ha resistito Dietrich Bonheffer nel carcere di Tegel prima di essere condannato a morte dal nazismo nel 1944, nell’ora della pazienza: “fratelli, finché dopo la lunga notte non spunti il nostro giorno, restiamo saldi!” 
 
 
I Giusti che salvano
 
Vi sono persone che hanno resistito al male con uno slancio di bene salvando gli altri in situazioni di pericolo, quando il Male sembra vincere. I GIUSTI sono quelli che resistono e che ci insegnano che il bene è sempre possibile. Ci rendono consapevoli di un destino comune e ci spingono a valutare in ogni momento "da quale parte" stare, mostrandoci semplicemente, come scrive Tzvetan Todorov, che il  male non è inevitabile.
 
Oggi, in un momento storico in cui soccorrere è molto più facile e meno rischioso di settant’anni fa, quando vince l’indifferenza verso le sorti di tanti, in Siria, Ucraina, sud Sudan, Yemen, verso i cristiani in Medio oriente o gli Yazidi, mentre vediamo i muri e i ghetti che ancora esistono nel mondo,  l’indifferenza se non l’ostilità verso tanti rifugiati, profughi, rom in Europa, insomma l’irresponsabilità organizzata di cui parla Ulrich Beck, i Giusti mostrano che non è inevitabile girarsi dall’altra parte di fronte al destino degli altri.
Si può scegliere tra la regola che ci fa limitare ad aiutare i “nostri” e ad essere responsabili solo della mia famiglia e dei miei simili, dicendo “prima noi”, oppure scegliere di accettare il debito infinito che abbiamo verso gli altri e la responsabilità nei confronti di tutti gli esseri umani.
Per  questo è importante la MEMORIA dei Giusti. Coltivare la memoria del bene non cancella il male ma lo indebolisce. 
Davanti al male e a vite dimenticate si può coltivare la memoria. Quelle vittime sconosciute del passato e del presente non significano nulla per noi, e tuttavia quelli che chiamiamo “giusti” sentono che devono ricordarsi con accanimento del legame con loro. “Tutti noi, che lo vogliamo o no, siamo responsabili nei loro confronti” ha scritto Abraham Yehoshua. Oggi sentiamo un debito verso le decine di migliaia di vittime del Mediterraneo (più di 30.000?) che non hanno ancora un nome.
In Italia, è stata approvata nel 2017 la Legge che istituisce la memoria dei Giusti ogni 6 marzo, data della morte di Moshe Bejski, magistrato israeliano, superstite dell’Olocausto, che si batté per il riconoscimento di tutti i Giusti che avevano salvato vite umane.
Mentre il senso del dovere o l’espiazione di una colpa si limitano ad azioni di risarcimento, la responsabilità, come l’amore, è infinita, e non ha limiti. Una volta che si assume il punto di vista della compassione e della vicinanza agli altri, diventiamo responsabili per sempre di ogni vita. E continuare a considerare gli altri umani preserva la nostra stessa umanità.