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Ambrogio Spreafico

Evêque catholique, Italie
 biographie

Ordine e disordine cosmico

Ordine e disordine

   Già nei primi capitoli della Genesi i racconti della creazione appaiono come la scelta di Dio di comporre in un ordine gli elementi diversi, e a volte contrapposti, della creazione mettendo fine al caos primordiale e creando un’armonia di elementi opposti. Il cosiddetto primo racconto della creazione, di origine sacerdotale (Genesi 1,1-2,4a), compone questo ordine in una sequenza quasi innica e celebrativa, che si conclude con il sabato. Siamo di fronte, infatti, a un canto che celebra la maestosità e la bellezza dell’opera divina che finalmente pone fine al caos originario. Si alternano ripetizioni numeriche caratteristiche che esaltano questo carattere: sette sono i giorni, sette volte Dio vede che ciò che era stato fatto era cosa buona, dieci volte di ripete “Dio disse”. Tutto per indicare che il centro di questo canto si trova nel quarto giorno, in cui vengono creati “le fonti di luce nel firmamento del cielo”, sole, luna, stelle. Essi determineranno il tempo, ovviamente anzitutto il tempo in cui l’essere umano con tutta la creazione rende lode al Signore che ha donato questa meraviglia. Proprio per questo il culmine della creazione non è l’essere umano, come spesso s’interpreta, ma lo shabbat, il sabato, in cui si riconosce l’opera di Dio. Senza questa lode e riconoscimento non si compie la creazione e viene intaccata l’armonia del creato.
   La stessa interpretazione avviene in quei testi sapienziale che parlano della creazione, come Proverbi 8,22-35, Siracide 16,26. L’ordine cosmico appare come una disposizione equilibrata dei vari elementi, fatta per separazione (come in Genesi) e collocazione. La creazione è cioè una taxis ben disposta, in cui la sapienza ha una funzione regolatrice. Il sapiente cioè deve ricercare questa taxis perché non si ritorno al caos originario. Da qui il ruolo della ricerca, che mai la Bibbia elimina. Questi testi, come altri (Sir 33,15; 42, 15-43; 33) manifestano un orientamento cosmologico di questa taxis, che però in testi seguenti (in genere apocrifi, come Testamento di Neftali… ) si trasforma in una taxis a livello antropologico, dove la realtà non convivono più l’una di fronte all’altra (Sir 33,15), ma si susseguono l’una all’altra, ponendo in atto l’esigenza di un evento finale escatologico, che risolva questo divario tra gli elementi. L’orientamento della riflessione è pertanto non più cosmologico, ma antropologico ed escatologico. Lo squilibrio ha origini sul piano umano e ha conseguenze universali. Questa concezione si ritrova già nella riflessione dei primi undici capitoli della Genesi a partire dal capitolo terzo e quarto:  l’essere umano è all’origine di uno squilibrio nel cosmo, che non tocca quindi solo gli uomini (Caino e Abele) ma l’intero creato. Questo attesta ad esempio con chiarezza il racconto del diluvio, dove la violenza umana provoca il ritorno al caos primitivo.
   Questa visione biblica contiene una sapienza che ci aiuta a entrare anche in quanto sta avvenendo oggi nel creato, dove lo squilibrio degli elementi sta portando gravi conseguenze alla vita in generale e alla conservazione di quell’ordine cosmico generativo di esistenza. La stessa violenza raccontata dalla Bibbia nei primi capitoli si continua a perpetrare contro la terra. Ci sentiamo troppo padroni e ci permettiamo di continuare a sfruttare le risorse in modo indiscriminato. Forse si deve cominciare a pensare, ad esempio, che la decarbonizzazione avrebbe i suoi effetti positivi come molti studi hanno dimostrato, tenendo conto che ancora il 40% delle emissioni di anidride carbonica è determinato dall’uso del carbone e che sono previste nel mondo più di 1200 nuove centrali a carbone. E’ tuttavia chiaro che le scelte per evitare il continuo innalzamento delle temperature comportano cambiamenti sostanziali che richiederanno sviluppi industriali innovativi e nuove prospettive e stili di vita. Insomma, se si vuole evitare il peggioramento delle nostre condizioni di vita, occorre immaginare e creare una prospettiva che coinvolga tutti, a cominciare dal nostro modo quotidiano di vivere. Scrivono Carlo Carraro e Alessandra Mazzai: “Si può dimostrare che investire in modo da controllare il cambiamento climatico è economicamente conveniente rispetto alle spese che dovremo sostenere se, ignorando o rimandando il problema, ci dovessimo trovare, tra non più di qualche decennio, in un mondo più pericoloso, con danni da eventi meteorologici estremi sempre più frequenti e dalle risorse naturali sempre più scarse” (Il clima che cambia, p. 9). 
   Nell’armonia del creato esiste una connessione tra cambiamenti climatici ed emigrazioni, visto che il tema migrazioni rimane un luogo di continuo dibattitto, dibattito condotto sovente senza una dovuta conoscenza dei fenomeni migratori che globalmente non andranno certo a diminuire. E’ a tutti noto quanto la deforestazione, la desertificazione, le catastrofi naturali, contribuiscano in modo sostanziale allo spostamento di intere popolazioni. I cambiamenti climatici stanno innescando un mutamento geopolitico e demografico strutturale che condizionerà i prossimi decenni. Sebbene ancora non esistano stime certe del fenomeno, numerosi studi hanno cercato di quantificarne la portata. Le previsioni parlano di un potenziale numero di migranti ambientali, entro il 2050, che potrebbe variare da 50 milioni a 350 milioni. La stima più citata è quella fornita da Myers, che prevede 200 milioni di potenziali migranti ambientali entro il 2050. Nelle ultime stime dell’agenzia ONU per i rifugiati si parla di circa 150 milioni. Secondo il Desertification Report 2014 dell’Unccd, entro il 2020 ben 60 milioni di persone potrebbero spostarsi dalle aree desertificate dell’Africa Sub-Sahariana verso il Nord Africa e l’Europa.
   Il fenomeno dei profughi climatico-ambientali è di rilevanza primaria e d’intensità superiore a quello dei profughi da guerra. Secondo l’Organizzazione mondiale delle migrazioni (Iom) nel 2014 la probabilità di essere sfollati a causa di un disastro è salita del 60% rispetto a 40 anni fa. Secondo l’Internal Displacement Monitoring Centre del Norwegian Refugee Council, dal 2008 al 2015 ci sono stati 202,4 milioni di persone delocalizzate o sfollate, il 15% per eventi geofisici come eruzioni vulcaniche e terremoti, e l’85% per eventi atmosferici. Nel solo 2015 gli sfollati interni allo stesso Stato sono 27,8 milioni, di cui 8,6 milioni provocati da conflitti e violenze e 19,2 milioni provocati da disastri naturali, intensi e violenti.

La riconciliazione: nel giardino e nella terra il riconoscimento

   Nei primi undici capitoli della Genesi l’elemento che sembra garantire l’ordine del creato si colloca nel giardino, in cui si stabilisce un ordine e un’armonia che ne rendano possibile l’esistenza, caratterizzati dal mandato conferito all’essere umano di “coltivare e custodire”.  I due verbi usati sono significativi: ‘abad e shamar. Il primo rimanda al lavoro, ma anche alla schiavitù (‘abodah). Il secondo ha una certa relazione con la torah, che deve essere “custodita” o “osservata”. Siamo davanti quindi a un compito rispetto alla terra nel giardino il cui lavoro implica anche il custodire qualcosa che non è proprio dell’essere umano. Se si perde la connessione tra i due compiti si rischia di cadere nella schiavitù (‘abodah). Vediamo allora come il giardino è un’opportunità e un compito, la cui realizzazione mitiga quel compito di “dominare” del primo capitolo della Genesi che tanto ha influito su quello che papa Francesco chiama l’”eccesso antropocentrico”.
Ma si può essere liberi nel giardino? Sì, assumendosi quell’ordine come un compito e un impegno. Ma tutto parte dal riconoscimento dell’uomo e della donna, del fratello con il fratello, dell’essere umano con il creato intero. Cioè la relazione che porta al riconoscimento diventa essenziale per mantenere quell’ordine, che va indagato e conosciuto perché si possa coltivare il giardino e non esserne schiavi. E qui entra in gioco il racconto di Caino e Abele, o meglio di Caino e del suo fratello, perché Abele in realtà non è anzitutto un nome proprio ma l’indicazione di una diversità debole di fronte al forte. Nel racconto emerge la diversità dei due, il forte e il debole, il pastore e l’agricoltore. Sono l’uno di fronte all’altro in quella terra che Dio ha affidato alla custodia dell’uomo. Caino non accetta la diversità, che si manifesta nella preferenza che Dio concede all’offerta di Abele, con un tratto costante della Bibbia che presenta un Dio che sceglie il debole e l’ultimo invece del forte e del primo (vedi Davide). Caino non accetta di stare di fronte all’altro, al fratello debole. Ciò porta all’incapacità a dialogare. Il racconto infatti dice, dopo l’intervento divino che mette in guardia Caino dal male che lo sta tentando, che “Caino disse ad Abele suo fratello”; ma a questo apparente inizio di dialogo non segue nessun discorso. Non c’è parola, non c’è dialogo. Il male vince. Caino uccide Abele nella campagna, là dove doveva manifestarsi il compito di custodire la terra. E Dio, in modo significativo, chiede a Caino: “Dov’è Caino tuo fratello?” E Caino risponde: “Non sapevo di essere il custode di mio fratello”. Caino è stato dominato dal male. Ha reso la terra luogo di violenza, cosicché essa diverrà luogo di maledizione. Infatti, Dio risponde: “Che hai fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra (‘adamah). Ora sii maledetto, lontano dalla terra che ha aperto la bocca per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano. Quando lavorerai la terra, essa non ti darà più il suo prodotto: ramingo e fuggiasco sarai sulla terra (‘eres)”. Nella terra si consuma la violenza dell’uno contro l’altro, del forte contro il debole, e la conseguenza è la maledizione dell’uomo e della terra, maledizione che significa esclusione dall’alleanza con Dio e quindi dalla fratellanza tra gli uomini e dall’armonia con la terra.
   Ci sarà un giardino dove tutto ciò si ricompone? Troviamo nell’annuncio profetico del tempo messianico e del ritorno nella terra di Israele la ricomposizione di questa alleanza tra Dio, uomo e terra. Vedi Isaia 11(armonia del creato), 60 (armonia tra i popoli e nel creato: sole e luna…). Lì si ricomporrà anche l’unità della famiglia umana, quando i profeti vedono l’accorrere dei popoli a Gerusalemme portando i loro doni. Ma è soprattutto nel giardino della Pasqua, dell’incontro di Gesù con Maria Maddalena, in quel riconoscimento che avviene la risposta definitiva. Lì si svela il mistero di un Dio che si fa riconoscere come il vivente perché quel giardino che ha visto la violenza e la morte sia definitivamente luogo di vita, d’incontro e di alleanza. E’ il giardino della riconciliazione e dell’armonia cosmica, quella che sarà rappresentata anche nell’Apocalisse nella descrizione della città santa che scende dal cielo (cap. 21), che riprende la visione profetica. 
  



Intervento di Mons Ambrogio Spreafico
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