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Maria Quinto

Projet des couloirs humanitaires, Communauté de Sant'Egidio
 biographie

Bologna 2018
I Corridoi Umanitari
L’esperienza del Libano
Maria Quinto - Comunità di Sant’Egidio

Sono contenta oggi di essere qui con voi. Siamo in tanti. Oggi vorrei raccontarvi qualcosa dei Corridoi Umanitari. 
Per capire questa storia dobbiamo partire da un giorno di più di 5 anni fa. Dobbiamo partire dal 3 ottobre 2013. Quel giorno una nave con centinaia di persone si era ribaltata ed era affondata a pochi metri dalla costa della nostra isola di Lampedusa. Se ne è parlato tantissimo e ogni anno questa data viene ricordata come una delle più grandi e terribili stragi di migranti. Nacque così l’operazione Mare Nostrum che per circa un anno ha impegnato la Marina Militare italiana e la guardia costiera nel salvataggio di 189.000 vite umane , in gran parte persone partite dalla Libia.  Mare Nostrum è stata un’operazione che ha riempito di orgoglio il nostro paese nel mondo.

Quella mattina, il 3 ottobre del 2013, io ero a Roma, in macchina e ascoltavo la radio. I notiziari iniziavano a dare le prime notizie: un bollettino di guerra. Da subito si comprese che si trattava di una tragedia immane. Ricordo come fosse oggi: accosto la macchina e comincio a chiamare alcuni amici della Comunità di Sant’Egidio. Daniela, Paolo, Claudio.  Parliamo della cosa, commentiamo, raccogliamo qualche notizia e d’impulso decidiamo di partire. La sera stessa del 3 ottobre ero a Lampedusa. Non dimenticherò mai quei giorni.
Ero stata già altre volte a Lampedusa. Erano viaggi di solidarietà con i profughi e con gli abitanti dell’isola. Una delle volte era stata pochi mesi prima, in estate, in occasione della visita a Lampedusa di papa Francesco. Il papa disse delle parole molto importanti e denunciò la “globalizzazione dell’indifferenza”.

Al mio arrivo nell’isola, il 3 ottobre 2013, subito chiamo alcuni amici pescatori.  Erano stati tra i primi soccorritori ed erano sconvolti. Mi parlarono dell’orrore per quello che avevano visto: un tratto di mare pieno di corpi. E poi delle loro operazioni di salvataggio: con le loro piccole barche da pesca che navigavano cercando di capire tra tutti quei corpi se ci fosse qualcuno ancora vivo da soccorrere.  La ricerca affannosa di un respiro, un sospiro, un alito di vita da tirare a bordo. Un inferno…

Con i pescatori andiamo subito al centro di accoglienza dove erano appena arrivati i 155 sopravvissuti alla sciagura, tra cui 41 bambini.
Sopravvissuti agli amici, alla moglie, al marito, alla sorella ai figli che non c’erano più. Sembravano fantasmi, occhi angosciati sguardi persi…
Abbiamo iniziato ad aiutare come potevamo. Abbiamo cominciato a raccogliere i nomi di tutte le persone presenti sulla barca, a cercare i contatti con i loro paesi di origine per dare notizie ai familiari rimasti in Eritrea, ad aiutare chi voleva telefonare e dire: “sono salvo”, ad organizzare una preghiera.

Cosa potevamo fare davanti a una tragedia così grande e ingiusta? Cosa potevo fare? me lo sono chiesta tante volte, con angoscia, mentre cercavo di fare qualcosa e di trovare le parole e i modi per confortare i giovani superstiti. Ho capito una cosa, però. Al di là di quello che facevo e avrei potuto fare, ho capito che era importante essere lì.
Per i superstiti, per chi non c’era più, ma anche per noi italiani, per noi europei era importante essere a Lampedusa a soccorrere e a tenere in vita la loro ma anche la nostra di umanità, ritengo che la commozione davanti a queste morti ingiuste è un sentimento da avere e conservare.
Ricordo tra gli altri un distinto signore. Era un cittadino tedesco, di origine eritrea che si aggirava tra le vie di Lampedusa facendo la spola tra i superstiti, i pescatori e la polizia scientifica. Era molto in ansia: cercava il fratello, un giovane insegnante fuggito dall’Eritrea con 10 ragazzi adolescenti della sua classe.

Il distinto signore viveva da oltre 15 anni in Germania ed era proprietario di una piccola azienda con trenta dipendenti. Aveva provato nei due anni precedenti a far partire il fratello attraverso le vie legali, ma non ci era riuscito. Questo è il problema: anche se scappi dalla guerra, anche se hai dei diritti riconosciuti dalle normative internazionali è impossibile venire in modo regolare in Europa.
Così il suo giovane fratello aveva messo da parte i soldi che lui gli mandava dalla Germania e aveva tentato, con i suoi 10 studenti, il pericoloso viaggio del Mediterraneo. Solo la sera prima della partenza lo aveva informato. Una telefonata  dalla Libia: “Fratello, sto partendo, prega per me”. Ma il giovane insegnante e i suoi studenti non ce l’avevano fatta a raggiungere vivi Lampedusa e il fratello non trovava più pace. Erano morti assieme ad altre 368 persone , eritrei ed etiopi.

Perché sono partita dalla tragedia di Lampedusa? Perché non si possono capire i corridoi umanitari se non si sente l’ingiustizia e il dolore di queste morti assurde. Scappi dalla guerra, hai diritto all’accoglienza e all’asilo, ma non ci sono vie legali e sicure per entrare in Europa, e invece di trovare rifugio, accoglienza, salvezza rischi di trovare un muro, di trovare una morte assurda.
I corridoi umanitari nascono da qui: dalla rivolta, dalla ribellione contro le morti in mare, contro le morti nel deserto, contro le morti nei valichi di montagna, o nelle stive dei camion o delle navi.
Mentre ero a Lampedusa, nei giorni seguenti,  arrivò la notizia di un altro naufragio, una barca carica di siriani in fuga dalla guerra. 268 morti e 211 superstiti, tra i morti moltissimi bambini. Notizia meno conosciuta, di cui non abbiamo immagini perché avvenuta al largo del Mediterraneo, abbiamo solo le testimonianze dei superstiti.

Pensavamo: Lampedusa deve essere un punto di non ritorno. Ma cosa fare? Ricordo le parole di Andrea Riccardi ,    il fondatore della Comunità di Sant’Egidio in quei giorni: “Dove devono andare i profughi siriani che hanno alle spalle la guerra ? I rifugiati non possono far altro che fuggire. Perché se hai diritto all’asilo politico in Europa devi rischiare la vita per arrivarci? Perché i profughi debbono sottoporsi a una specie di “selezione naturale?” è necessario trovare vie di viaggio sicure : i corridoi umanitari “
Iniziammo a elaborare una proposta. Doveva essere possibile un altro modo. Il problema da risolvere era quello del giovane insegnante e dei suoi 10 studenti come trovare le vie legali e sicure per mettersi in salvo e giungere in Europa. Come trovare il modo per liberare i profughi dalla trappola mortale delle mafie che fanno soldi sulla disperazione degli esseri umani. Come?
Alcuni di noi iniziarono a studiare. Studiammo la normativa europea già esistente e trovammo nell’art 25 del regolamento visti dell’UE la possibilità che ogni stato europeo ha di concedere visti per motivi umanitari. 
Iniziarono i contatti con il Ministero degli interni italiano e poi con quello degli esteri.  Non fu facile. Per niente. Potete immaginare le difficoltà burocratiche, le opposizioni.  Dopo un anno di trattative finalmente arrivammo alla definizione di un progetto sperimentale. Un protocollo tra Comunità di Sant’Egidio e la Federazione delle Chiese Evangeliche Italiane. 1000 visti, cioè 1000 persone da salvare, da far entrare regolarmente in Italia.

Da dove iniziare?  pensammo di iniziare dal Libano.
Il Libano è un piccolo paese del Medio Oriente. Confinante con la Siria. Dove dall’inizio della guerra si sono riversati i profughi siriani. Il Libano è un paese ancora in ricostruzione dopo anni di guerra civile.  In tutto il paese ancora sono visibili i ruderi delle distruzioni della guerra. E’ un paese, ad esempio, dove l’acqua corrente in casa e l’elettricità non sono per tutti. Lo stato non riesce a gestire campi e l’accoglienza per i profughi , la gran parte dei bambini siriani non può andare a scuola.
Il Libano ha circa 5,5  milioni di abitanti e  pensate, ospita circa 1.200.000 profughi siriani, e qualche centinaia di migliaia tra iracheni e palestinesi.
E’ il paese al mondo che ospita il più alto numero di profughi in relazione alla sua popolazione. In Libano ci sono 169 rifugiati ogni 1000 abitanti mentre in Italia ci sono 4,4 su mille abitanti. (dati Banca Italia)
In Europa spesso si crede erroneamente che tutti i profughi arrivino qui. Questo è falso. Ogni guerra e conflitto producono profughi e spostamenti di popolazione.

Il maggior numero dei profughi rimane nei paesi limitrofi che spesso sono paesi poveri. L’Etiopia ad esempio accoglie circa 900.000 profughi da Eritrea, Sud Sudan, Somalia.
Nel mondo l’84% dei profughi viene accolto in paesi in via di sviluppo, solo il 10% riesce ad arrivare in Europa.
In Libano ho avuto il mio primo incontro con la realtà della guerra. Non nel senso di essere sotto i bombardanti. Ma nel senso di vedere con i miei occhi cosa significhi la guerra nella vita delle persone. Una guerra lunga e sporca come quella siriana che dura da oltre sette anni, diffusa in tutto il paese - non c’è una zona risparmiata dalla guerra -  che coinvolge pesantemente i civili: cioè donne, bambini, anziani, giovani, gente innocente. Tutte le parti in lotta coinvolgono i civili. Ostaggi delle violenze e dei bombardamenti chi riesce fugge nei paesi confinanti. 
E la guerra lascia segni pesanti. Persone colpite nel corpo, con arti amputati, schegge e ferite tremende. Sono stati stimati almeno un milione e mezzo di feriti. 100.000 circa  sono i mutilati. Tutta la popolazione è colpita nei suoi affetti. Non c’è famiglia che non pianga una vittima. Si calcola che siano morte ad oggi   500.000 persone.
Decine di migliaia sono le persone rapite in Siria e di 65.000 non si sa più nulla.
E pensate … sono dati in difetto..
Molti portano segni profondissimi nell’anima, nella mente. Migliaia sono stati incarcerati senza motivo. Ho incontrato tante persone che sono state rapite per periodi più o meno lunghi, maltrattate e torturate durante la prigionia …. 
La guerra è orribile. I racconti che raccoglievo mi impressionavano molto. Una volta parlavo con una donna che potevo essere io. Prima della guerra aveva in Siria la sua famiglia, il suo lavoro, la sua vita, la sua casa, la sua tranquillità. E poi inizia la guerra e perde tutto: caos, violenza distruzione. Deve decidersi di lasciare il suo paese e di scappare. Aveva tutto, una vita normale  e ora non aveva più niente.
Mi diceva che quando in Siria erano iniziate le proteste e le manifestazioni, nessuno immaginava che sarebbe andata così. Nessuno immaginava la guerra. È vero: la guerra è un demone che divora quello che trova davanti a sé. Pensi di poterlo dominare, ma non è così. 
 
Abbiamo organizzato 34 viaggi in aereo, abbiamo fatto viaggiare in sicurezza in Europa 2076 persone.(dati al Settembre 2018)
Le persone arrivano con un documento e un visto regolare , non arriva gente ignota: i loro nomi sono controllati prima della partenza dalle autorità.  Arrivano in sicurezza e c’è qualcuno che prepara in Europa il loro benvenuto e la loro accoglienza. 
In un anno e mezzo abbiamo concluso il primo protocollo con l’Italia , e visto il buon risultato ne è stato firmato un secondo per altre 1000 persone.
Altri paesi hanno seguito l’Italia. La Francia, il Belgio, il Principato di Andorra, la Repubblica di San Marino hanno deciso di mettere in campo i Corridoi umanitari. Dopo il Libano i corridoi umanitari consentono la partenza dall’Etiopia  di profughi  eritrei, somali, sud sudanesi, yemeniti. Di questi rifugiati 1776 sono stati accolti in Italia.
Il progetto è completamente autofinanziato, cioè ci siamo impegnati con le istituzioni a garantire per un anno le spese di accoglienza e di sostentamento delle famiglie.  Dove trovare le risorse economiche e umane per il progetto? Questo all’inizio ci preoccupava. Era un impegno considerevole.

Per questo abbiamo lanciato una sottoscrizione. Siamo rimasti sorpresi dalla risposta: abbiamo ricevuto offerte da singoli, parrocchie, associazioni centri. C’è chi chiama per offrire ospitalità a una famiglia, o per garantire gli studi a due bambini… Sono accolti da famiglie o da parrocchie, dalle scuole.
E’ un modello di accoglienza adottivo. E’ la società civile che adotta. Un modello dove  “tutti danno una mano”. L’accompagnamento alle visite mediche, i documenti, la ricerca del lavoro, la spesa, l’insegnamento della lingua, insomma, le responsabilità dell’accoglienza richiede l’aiuto di tutti.  Un modello diffuso, comunitario. Non grandi centri, ma accoglienze familiari che rendono tutto più facile: l’integrazione, imparare la lingua, trovare un lavoro o andare a scuola.
Guardate non bisogna avere paura di accogliere. L’accoglienza ti rende una persona migliore, libera.
Quando sono in Italia mi capita di incontrare  le famiglie venute con i corridoi umanitari qualche mese prima e mi succede una cosa particolare: non li riconosco. O almeno faccio fatica. Sono cambiati. I loro volti sono diversi in così poco tempo.  I bambini, poi, mostrano dei cambiamenti straordinari: parlano italiano, giocano, ridono, saltano, studiano. Tutti sanno che devono ricostruire la loro vita, non mancano le difficoltà, ma l’Italia, l’Europa stanno dando loro una nuova vita.

Cosa sono i corridoi umanitari per le famiglie siriane che incontro in Libano?
Mariam è una giovane donna che ha perso una gamba per l’esplosione di un ordigno. Lei mi raccontava del figlio Said. Said è un giovane di 13 anni, che lavora per 12 ore al giorno chino su una macchina per cucire Jeans e tutte le notti aveva gli incubi degli aerei che bombardavano Homs. La mamma mi ha raccontato che Said, dopo il nostro primo incontro,  ha fatto un sogno. Ha sognato un aereo con la bandiera italiana ed era felice. Ecco cosa sono i corridoi umanitari: sono la luce in un tunnel buio di tristezza e sofferenza. La luce di un futuro migliore da ricostruire per sé e per i propri figli.

Questa occasione di parlare con voi mi permette di dire che i corridoi umanitari sono per me una bella avventura , per la mia vita. Partecipare a questo grande progetto che salva le vite umane è per me un regalo straordinario. Ripenso a me sul molo di Lampedusa il 3 ottobre 2013 e penso ad oggi. Ho capito che se siamo insieme, se non voltiamo la faccia da un’altra parte, i sogni possono diventare realtà. Anzi i sogni possono cambiare la storia e possono diventare storia.