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I video dell'evento

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23 Settembre 2024 | durata: 2:08:41

FORUM 12 - LA TRANSIZIONE ECOLOGICA È ANCORA IN AGENDA?

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23 Settembre 2024 | durata: 1:58:51

FORUM 11 - LA PREGHIERA VINCE L’ODIO

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23 Settembre 2024 | durata: 2:0:28

FORUM 8 - LA GUERRA NON È INESORABILE: IMMAGINARE LA PACE

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23 Settembre 2024 | durata: 2:10:39

FORUM 5 - DEMOCRAZIA ALLA PROVA

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23 Settembre 2024 | durata: 2:17:33

FORUM 4 - MEDITERRANEO: UN MARE AGITATO DALLA STORIA

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23 Settembre 2024 | durata: 2:11:44

FORUM 1 - LAICI E CREDENTI: PER UN UMANESIMO DEL FUTURO

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09:30

FORUM 1 - LAICI E CREDENTI: PER UN UMANESIMO DEL FUTURO

Ricomprendere fede, ragione, laicità. A 'Immaginare la pace' gli ingredienti di un nuovo umanesimo per il futuro

Umanesimo, democrazia, garantire il principio di umanità che di fatto viene negato anche nei conflitti del presente. L'umanesimo del futuro, al centro di confronto moderato da Vincenzo Paglia, Presidente dell'Accademia Pontificia per la vita, ha bisogno di una laicità inclusiva, non esclusiva come quella che omologava, attraverso le colonie, la vita e la storia degli altri. Per Agnese Levallois, della Missione laique francaise, la laicità è una nozione importata dall'Occidente: solo nel Novecento si è aperta una riflessione su questo tema nel Medio Oriente. Si teme, anche nel comune sentire, l'omologazione.
 
La fraternità è stata la promessa mancata. Oggi eliminare la diversità diventa un crimine. Per l'arcivescovo Vincenzo Paglia, fede e ragione sono indispensabili l'una all'altra. Oggi siamo in un tempo nuovo, in cui per la prima volta nella storia l'uomo può distruggere se stesso e il creato. Dunque tutti, laici e credenti , siamo chiamati a una responsabilità comune, quella di salvare il creato e l'umano sul livello umano, sociale, politico, economico. Attenzione a una fede priva di cultura. Si è affermato l'iperindividualismo, si parla di egolatria, ma il futuro è il noi, una convivenza arricchita dalle diversità di ciascuno. La Pace e troppo importante e anche per questo non va lasciata solo ai politici.
 
"In Tunisia si è molto dibattuto della contrapposizione tra islamisti e laicisti - rileva Nadia Marzouki, sociologa che ha lavorato negli Usa e in Francia - Negli Usa e Italia ho incontrato comunità, prevalentemente di chiese cristiane, che si mobilitano sia per credenti che non credenti, anche dando sepoltura ai migranti morti. Ho incontrato ebrei che hanno lottato per vincere la contrapposizione con il mondo arabo. Attenzione: anche i non credenti possono essere estremisti. Occorre trovare il modo di fare intervenire i credenti nel dibattito politico sociale, senza i pregiudizi dell'estremizzazione laicista". Siamo in un tempo di assenza di grandi mobilitazioni ma ci sono dei testimoni, quindi occorre immaginare nuovi mondi, anche collaborando insieme a partire dagli scarti della società che possono diventare la pietra angolare della nuova costruzione umanistica. Un lavoro silenzioso ed efficace, svincolato dalla pressione del giudizio sui risultati immediati.
 
C'è una pressione della globalizzazione che porta all'omologazione secondo Eric de Moulins-Beaufort, arcivescovo, Presidente della Conferenza episcopale francese. Pur cercando l'unità occorre accettare le diversità come è stato evidenziato nell'incontro di Dubai tra Papa Francesco e il rettore dell'università di Al Azar Ahmed Al Tayyeb. Invece si assistono a manifestazioni di un feudalesimo brutale. Per Mauro Ceruti, filosofo, "la specie umana è giunta all'auto annientamento e siamo oggi obbligati a uscire dall'epoca della guerra che paradossalmente ci ha fatto sviluppare il senso del comune destino". Di fatto viviamo in una nuova età geologica, perché la terra è collegata in tutti i suoi estremi, interconnessa e interdipendente in ogni sua parte. E' l'umanità ad essere divisa. "Il valore della convivenza è sempre messo alla prova, anche noi ne siamo responsabili - ha detto Olav Fykse Tveit, presidente della Conferenza episcopale di Norvegia - Di fronte alle attuali guerre, occorre che i rappresentanti religiosi trovino il modo di sfuggire dall'appropriazione di guerre ritenute come sante". Intanto anche nelle guerre in corso non viene garantito il principio di umanità che viene invocato solo a parole, come denuncia Tarek Mitri, che è stato ministro in Libano ed ora è rettore dell'Università di San Giorgio a Beirut.

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interventi 

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Vincenzo Paglia

Arcivescovo, Presidente della Pontificia Accademia per la vita, Santa Sede


Interventi

Éric de Moulins-Beaufort

Arcivescovo, Presidente della Conferenza episcopale francese

Alain Minc

Saggista, Francia

Agnès Levallois

Vicepresidente della Mission laïque française

Olav Fykse Tveit

Vescovo, Presidente della Conferenza episcopale della Chiesa di Norvegia

Tarek Mitri

Rettore, Università San Giorgio di Beirut, Libano

09:30

FORUM 2 - UNA POLITICA CHE GUARDA AL FUTURO PER LE MIGRAZIONI

Per l'Europa e gli Stati Uniti la sfida umana ed educativa dell'integrazione

Sylla, Diaz, e tutti gli altri. Ma ve le immaginate le recenti Olimpiadi e Paralimpiadi senza di loro? Al forum dedicato al tema “Una politica che guarda al futuro per le migrazioni”, all’incontro internazionale ‘Immaginare la pace’, Daniela Pompei, responsabile dei servizi ai migranti della Comunità di Sant’Egidio, alla presenza di Didier Leschi, Direttore generale dell’Ufficio francese dell’Immigrazione e dell’Integrazione, ha ricordato le storie di successo degli atleti medagliati alle olimpiadi e alle paralimpiadi. Hanno i volti di Myriam Sylla, pallavolista nata a Palermo da genitori ivoriani, e Andy Diaz, triplista di origine cubana. Storie diverse, la prima si inserisce in una migrazione economica e l’altro in una richiesta di protezione internazionale, con un tratto comune: l’incontro con cittadini italiani che sono stati disponibili a sostenerli all’inizio del loro percorso. L’inizio è un momento decisivo e critico. Lo è stato anche per il programma dei Corridoi umanitari di Sant’Egidio: per i 10 mila rifugiati giunti in Europa è stato decisivo l’apporto soprattutto nella fase iniziale di cittadini, gruppi, associazioni, disponibili a sostenere il percorso di integrazione.
 
Sul tema della cittadinanza, Pompei ha ricordato che già nel 2004, Sant’Egidio aveva lanciato una campagna per il riconoscimento della cittadinanza ai minori nati e cresciuti in Italia: bambini che si sentono italiani, che non sono considerati tali. Questa condizione di precarietà sociale e identitaria rappresenta uno svantaggio, ad esempio, nel loro percorso scolastico.
 
Il Prefetto Mario Morcone, Assessore alla Legalità, Sicurezza, Immigrazione della Regione Campania, ha espresso la preoccupazione per l’arretramento sul tema dei diritti in Europa, ispirato dalla crescita dei sovranismi e da false narrazioni. La sfida da raccogliere è quella dell’apertura di vie di ingresso legale in Europa.
 
Quella dell’integrazione è la vera sfida per tutta l’Europa, concordano i relatori. Chi giunge in Europa, a qualsiasi titolo anche per chiedere la protezione internazionale, rappresenta sempre una risorsa per le nostre società europee che vivono un inverno demografico. Serve un cambio di prospettiva che offra visioni di lungo periodo, sottolinea Catherine Wihtol de Wenden, Direttore di ricerca presso il CNRS, Sciences Po, Francia, oltre la risposta emergenziale.
 
Dominique Quinio, giornalista e Presidente onorario delle Semaines Sociales de France, osserva che alcuni in Francia provano un senso di "declassamento" e tendono a fare dello straniero un capro espiatorio. I politici, sia francesi che europei, non dovrebbero alimentare queste preoccupazioni, ma piuttosto calmarle, pur riconoscendo le sfide. L'accoglienza dell'altro e del diverso richiede che l'inclusione venga insegnata e sperimentata, non imposta per decreto.
 
La sfida delle migrazioni non è soltanto europea: toccante è la testimonianza di José Alejandro Solalinde, sacerdote messicano che sostiene i migranti che cercano di attraversare la frontiera con gli Stati Uniti. La tratta di esseri umani è espressione della disumanizzazione per cui i migranti, spesso con l’inganno, sono ridotti a merce. C’è una grave omissione educativa sul tema del rispetto e della convivenza. Questa è la sfida da raccogliere. Ci sono segni di speranza: il nostro lavoro con i migranti è costruire la pace. E la pace è sempre relazionale, non cade dal cielo, ma è costruita quotidianamente. Gli fa eco, Mark J. Seitz, vescovo cattolico della Diocesi di El Paso, presidente del Comitato sulle migrazioni della Conferenza episcopale statunitense, che ha offerto una lettura spirituale e biblica delle sfide poste dalle migrazioni, nella convinzione che ogni barriera è inutile e che nessuno si salva da solo.

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Jan De Volder

Università Cattolica di Lovanio, Belgio


Interventi

Didier Leschi

Prefetto, Direttore generale dell’Ufficio francese dell’Immigrazione e dell’Integrazione

Mark J. Seitz

Vescovo cattolico, USA

Catherine Wihtol de Wenden

Direttore di ricerca presso il CNRS, Sciences Po, Francia

Dominique Quinio

Presidente onorario delle Semaines Sociales de France

Mario Morcone

Prefetto, Assessore alla Legalità, Sicurezza, Immigrazione della Regione Campania, Italia

09:30

L’Europa attuale sembra una sopravvissuta XX secolo, per Jean Dominique Durand, storico e presidente dell'Amicizia Ebraico Cristiana di Francia. Eppure l’Europa che, dopo la seconda guerra mondiale non esisteva più, essa non ha solo saputo ricostruirsi, ma anche costruirsi su basi radicalmente nuove con una soluzione comunitaria. Ora si sente una forte inquietuidine. A riguardo Giorgio Silli, sottosegretario agli Esteri e alla Cooperazione internazionale del Governo italiano, ha osservato come l'invasione dell'Ucraina e la situazione in Medio Oriente hanno interrotto la nostra pseudo tranquillità. Fondamentali squilibri strutturali esistono ancora nella nostra società, "penso allo sviluppo ed alla transizione ecologica, all'equità. Qui si inserisce il lavoro della Unione europea, per mettere in campo le riforme necessarie sintetizzate dalla Agenda Draghi. E' necessario uno sforzo immenso. Dobbiamo allargare l'Unione europea ai Balcani. La questione ucraina ha riunito l'Europa in un ideale comune e l'Europa dovrà essere ancora più unita e coesa per rispondere alle sfide dei tempi. Dobbiamo sostenere come Europa il lavoro di solidarietà e la diplomazia portato avanti dalla Comunità di Sant'Egidio ed altre associazioni". Al panel hanno preso parte moltissimi giovani: "Vogliamo preparare un'Europa che sia all'altezza delle vostre domande - ha detto
Nathalie Loiseau, deputata francese al Parlamento europeo - In Francia si parla poco e male dell'Europa. L'Unione europea nasce dalla scommessa della riconciliazione franco-tedesca, penso a Mitterrand e Kolh che si tenevano per mano. Speriamo di vedere una foto simile anche da parte dei leader israeliani e palestinesi". L'Europa è attraente, "penso all'Albania ed ai paesi Balcanici. Tanti sono scettici verso l'Europa ma questa non perde la sua forza attrattiva. Tanti guardano all'Europa, pensiamo ai migranti che affrontano viaggi terribili per arrivare da noi "e questo dimostra che l'ideale europeo col suo sistema di valori non è in declino, eppure se non facciamo nulla siamo condannati ad una lenta agonia, perché troppo frammentati di fronte al mercato globale, troppo dipendenti dalle risorse altrui".
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Jean-Dominique Durand

Storico, Presidente dell'Amicizia Ebraico-Cristiana di Francia


Interventi

Giorgio Silli

Sottosegretario MAECI, Italia

Aurélien Lechevallier

Direttore Generale per la Globalizzazione, Ministero dell'Europa e degli Affari Esteri, Francia

Moshe Lewin

Portavoce del Rabbino Capo di Francia

Tritan Shehu

Deputato, Albania

Michael A. Köhler

Professore, Ambasciatore del Grand Bargain, Unione Europea

09:30

Il Mediterraneo è un mare agitato dalla Storia, è un luogo determinante per le scelte geopolitiche; è  unitivo da una parte e dall’altra è teatro delle tensioni dei Paesi, che vi si affacciano, sotto il profilo dell’assetto interno (Tunisia, Israele, Palestina) e della loro capacità di misurarsi con fenomeni strutturali colti sempre come emergenze (l’immigrazione). Ma tra conflitti, fragilità democratica e migrazioni c’è un collegamento profondo. Lo storico André Vauchez vede in Francesco d’Assisi il primo occidentale a comprendere il legame tra povertà e guerra, che lascia dietro detenuti, invalidi, e e la necessità di processi di reintegrazione dopo la violenza. Voci autorevoli si sono misurate su questi punti nevralgici a Parigi, al convegno internazionale su ‘Immaginare il futuro’, in un confronto moderato da Vittorio Ianari (Comunità di Sant’Egidio). Dunque come pensare alla reintegrazione mentre la violenza è esplicita o latente? C’è innanzitutto da cogliere lo “spirito del tempo”, sostiene Dominique Moïsi,  consigliere speciale dell’’Institut Montaigne di Francia, in modo da trovare le parole chiave per comprendersi e comprendere i fatti storici e non finire nel precipizio. Insomma, non lasciarsi ingessare dagli attori del presente nelle diverse latitudini anche perché “le maggioranze politiche non sono eterne”, anche quelle che non vogliono cogliere la sfida delle migrazioni, alla quale, spiega Ghaleb Bencheikh, Presidente della Fondation de l’Islam de France, “guardare non con il contatore in mano perché così il mare è diventato un cimitero”.  Certo accanto allo “spirito del tempo” bisogna cogliere anche quello che il politologo Gilles Kepel, chiama “bouleversement”, “sconvolgimento del mondo”, nel quale, per riprendere un’immagine di Bencheik, il diritto internazionale è svuotato dai veti incrociati. Il nodo Israele-Palestina è decisivo per tutti gli interlocutori, oltre responsabilità di attori contingenti e modalità che si sono come ossidate nel corso degli anni: c’è la fase bellica ma “la pace è pensare al dopo” dice Kepel. In che modo? Per il cardinale Gualtiero Bassetti si tratta di “ribadire la supremazia dei percorsi di dialogo”.
 
Naftali Haleve, turco e membro della Conférence des rabbins d’Europe, una ricerca “individuale” non porta lontano, anzi “nella ricerca di soluzioni individuali a problemi che interessano e colpiscono tutta l’umanità si arriverà alla fine a dar luogo a nuovi stalli sociali. Credo che questo sia quanto sta accadendo oggi nel ‘bacino del Mediterraneo’, come in altre parti del mondo”. Il presidente emerito della Repubblica di Tunisia Moncef Marzouki al Medio Oriente propone la “formula Mandela”, per attualizzarla al presente delle parti in conflitto e tenere vivo il  barlume della speranza.
 
Un’informazione corretta gioca un ruolo decisivo e anche per questo Khadija Benguenna, giornalista di Al Jazeera, lamenta “la chiusura di autorità e in diretta tv del nostro ufficio” per la colpa di avere una penna e contravvenire al silenzio.
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interventi 

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Vittorio Ianari

Comunità di Sant’Egidio, Italia


Interventi

Moncef Marzouki

Ex Presidente della Repubblica di Tunisia

Gilles Kepel

Politologo, Francia

Khadija Benguenna

Giornalista di “Al Jazeera”, Algeria

Dominique Moïsi

Consigliere speciale dell'Istituto Montaigne, Francia

Naftali Haleve

Membro della Conferenza dei Rabbini d'Europa, Turchia

Ghaleb Bencheikh

Presidente della Fondation de l'Islam de France

09:30

Ci sono tendenze, anche in Europa, verso le cosiddette “Democrature” ma è più forte la voglia di partecipazione  e rappresentanza. Attenti a orientare alcuni dati verso un’interpretazione autoritaria. E’ stato Marc Lazar, storico e sociologo francese, a rilevare al meeting ‘Immaginare la pace’, in corso a Parigi su iniziativa della Comunità di Sant’Egidio,  come "secondo il barometro della fiducia politica, quasi un polacco su due, più di un terzo degli italiani, dei tedeschi e dei francesi, ritiene che sarebbe molto positivo avere un leader forte che non debba preoccuparsi del Parlamento e delle elezioni". Lazar ha riferito anche che "una piccola minoranza di tedeschi, italiani e polacchi, e persino quasi un francese su quattro, accetta l’idea che l’esercito possa governare il proprio Paese". Ma questo desiderio di aumento dell'autorità  però non significa una ricerca di autoritarismo, poiché non è un desiderio univoco. Emerge, infatti, con forza anche una richiesta di partecipazione. "Il 78% dei polacchi, il 71% dei francesi, il 70% dei tedeschi e il 67% degli italiani ritengono che «la democrazia funzionerebbe meglio se i cittadini fossero coinvolti in modo diretto (petizioni, sorteggio) in tutte le grandi decisioni politiche". Una netta maggioranza di polacchi, italiani, tedeschi e francesi crede che il funzionamento della democrazia migliorerebbe “se le organizzazioni della società civile (associazioni, sindacati) fossero maggiormente coinvolte” in tali decisioni. Inoltre, il 51% dei francesi, il 58% degli italiani, il 72% dei polacchi e il 77% dei tedeschi dichiarano di avere interesse per la politica. Questi dati evidenziano una crescente richiesta di democrazia partecipativa che, secondo Marco Lazar, deve trovare nuove forme. E’ una domanda non solo europea e occidentale: si fa strada anche in Africa.
 
Il cardinale Fridolin Ambongo, arcivescovo di Kinshasa, ha ripercorso il sostegno della Chiesa cattolica allo sviluppo della democrazia in Africa, a partire dal suo paese, la Repubblica Democratica del Congo. Per il cardinale oggi c'è bisogno di istituzioni forti, mentre “il ricorso agli uomini forti rappresenta una semplificazione”. Oggi però si preferisce ascoltare e seguire “le urla di un comandante di folli”, piuttosto che “le parole pacate dei sapienti”. La sfida della democrazia nel nostro tempo è proprio qui: permettere che la voce dei senza voce, la voce di un uomo povero ma sapiente, possa essere ascoltata e avere un valore: “Finché ci sarà questa possibilità, ci sarà una possibilità di salvezza per il mondo intero”.
 
Per Donatella Di Cesare, docente di Filosofia a La Sapienza di Roma, sarebbe “un errore credere che sangue e suolo siano spettri del passato. Oggi tornano a imperversare grazie a nuovi escamotages. Si bandiscono stranieri e migranti, in nome della presunta omogeneità degli abitanti, figli del proprio suolo, fratelli – senza sorelle – tutti appartenenti alla progenie patrilineare, alla patria e al suo ordine. Ma la democrazia condotta a naturalizzarsi, a radicarsi nelle sbandierate origini autoctone, non è già più democrazia. È etnocrazia – ovvero una delle patologie totalitarie della democrazia. Perché il popolo è una forma politica dinamica, che si ricompone costantemente”.
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Interventi

Fridolin Ambongo Besungu

Cardinale, arcivescovo di Kinshasa, Repubblica democratica del Congo

Marc Lazar

Professore, Sciences Po e LUISS, Francia

Andrea Malaguti

Direttore, La Stampa, Italia

Donatella Di Cesare

Filosofa, Sapienza Università di Roma, Italia

Mahamat Saleh Anadif

Ex Ministro degli Affari Esteri, Ciad

M'hamed Krichen

Giornalista di "Al-Jazeera", Tunisia

Zaid Mohammed Bahr Al-Uloom

Direttore dell'Al-Khoei Institute, Iraq

09:30

FORUM 6 - SOLIDARIETÀ CON I POVERI E PACE

"I poveri sono un soggetto", strade per una loro vera integrazione nelle città.
Lavorare con i poveri e non lavorare per i poveri. Da un confronto sulla solidarietà, moderato a ‘Immaginare la pace’ dal vescovo Ambrogio Spreafico: “La solidarietà è un cammino verso la pace perché avvicina gli altri”.  Emilce Cuda, teologa e Segretaria della Pontificia Commissione per l'America Latina, insiste sul “mettere i lavoratori al centro delle decisioni”.  Joan, metropolita ortodosso di Albania, evidenzia come nelle società “non sono semplicemente oggetti di carità per i ricchi, ma hanno  l’opportunità di lavorare e partecipare alle risorse dell’umanità”.
 
Il  vescovo Huang Bingzhang, della Repubblica Popolare Cinese, aiuta a comprendere il grande lavoro della Chiesa in Cina, dove non solo sta crescendo la fede (oggi la Cina conta 98 diocesi), ma dove si sono moltiplicate azioni di solidarietà verso i poveri, gli anziani e i malati. La povertà, spiega Anuradha Shankar, Rappresentante del Peacebuilders Forum, è di fatto “una forma di violenza e  non una cosa naturale”.
Il rapporto con i migranti è un indicatore. Secondo Oliver Schuegraf, vescovo luterano in Germania, “dobbiamo migliorare nell’organizzare le procedure di riconoscimento del diritto di asilo, trattando le persone nello stesso modo in cui io ci aspettiamo noi stressi di essere trattati dalle autorità”. Chiedere l’erosione dei diritti di asilo e di soggiorno “non combatte le cause del terrorismo”.
 
Thomas Schwartz, Presidente di Renovabis, ha ricordato come da 1000 giorni persone innocenti perdono la vita in Ucraina e anche in Russia si soffre a causa della guerra. Bisogna quindi stare dalla parte dei poveri perché questo “crea cammini di pace. La pace non è il fine ma la via”. Allo scoppio del conflitto in Ucraina, rileva Silvin Kit, della federazione delle chiese luterane le chiese dei paesi confinanti sono diventati luogo di riparo. “La paura e l’odio non possono avere l’ultima parola”, per questo dobbiamo creare comunità di Speranza. La conferenza si è conclusa con le parole di Yoshinori Shinohara, Segretario generale della Conferenza asiatica delle religioni per la pace, Rissho Kosei-kai. Tra le iniziative dell’associazione ‘Un tavolo per la pace a Tokyo’, sia nel 2022 che lo scorso febbraio. Al tavolo di quell'incontro erano seduti i rappresentanti di Russia, Ucraina, Palestina e Israele. La riflessione principali di questi incontri “oltre la guerra, verso la riconciliazione”. I delegati non partecipavano a titolo personale ma in rappresentanza dei propri Paesi, a significare che i paesi hanno voglia di sedersi attorno ad un tavolo.
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Ambrogio Spreafico

Vescovo cattolico, Italia


Interventi

Emilce Cuda

Teologa, Segretario della Pontificia Commissione per l'America Latina, Santa Sede

Joan

Metropolita ortodosso, Albania

Huang Bingzhang

Vescovo cattolico, Repubblica Popolare Cinese

Anuradha Shankar

Attivista ghandiana e Rappresentante del Peacebuilders Forum, India

Thomas Schwartz

Presidente di Renovabis, Germania

Henrik Stubkjær

Vescovo, Presidente della Federazione Luterana Mondiale

Yoshinori Shinohara

Segretario generale della Conferenza asiatica delle religioni per la pace, Rissho Kosei-kai

09:30

«La pace per noi non è un’opzione, ma un obbligo». Anne Désirée Ouloto, ministra della funzione pubblica della Costa d'Avorio, all’incontro “Imaginer la paix” organizzato da Sant’Egidio, a Parigi ha lanciato un appello accorato alla comunità internazionale indicando la risoluzione dei conflitti come il punto di partenza per la soluzione dei problemi complessi dell’Africa.
 
Intervenendo al panel “L’Africa oggi”, la ministra ivoriana ha ricordato l’intrico di conflitti armati e tensioni che attraversano il continente africano: «Dal 1950 – ha spiegato – di 486 colpi di stato nel mondo, 214 si sono svolti in Africa. Inoltre nei nostri Paesi si subiscono le conseguenze delle relazioni conflittuali tra le grandi potenze mondiali: ma l’Africa deve rifiutarsi di continuare a fungere da teatro di guerre per procura”. La Ministra ha citato il motto coniato da Félix Houphouët-Boigny, il primo presidente della Costa d'Avorio: «Amici di tutti, nemici di nessuno» per affermare la necessità di un nuovo ruolo del Continente negli equilibri internazionali.  «I paesi africani – ha continuato – devono investire con coraggio nella risoluzione dei conflitti interni e regionali, solo così, trovando una nuova unità, potranno rispondere alle loro necessità, senza essere subordinati a quelli di altri soggetti».
 
Un altro tema affrontato nella tavola rotonda è stato quello del debito, che ha raggiunto i 1140 miliardi di dollari e che, ha spiegato il missionario Giulio Albanese, direttore dell'Ufficio per la cooperazione missionaria della Diocesi di Roma «è stato letteralmente finanziarizzato da creditori privati come assicurazioni, banche, fondi di investimento, e quindi ora è inscindibilmente legato alle attività speculative sui mercati internazionali».

Ma l’Africa non va indentificata solo i suoi problemi: mentre l’Europa invecchia – e nel 2050 rappresenterà meno del 5% della popolazione mondiale – l’età media del continente africano è di 20 anni. «I giovani africani, però, sono diversi dai loro padri – ha spiegato Mario Giro, della Comunità di Sant’Egidio – perché sono più individualisti ed imprenditori, e il senso di comunità, l’ubuntu, è meno forte». E Jean Mbarga, arcivescovo cattolico del Camerun ha aggiunto «occorre formare giovani competenti che amino i loro paesi e desiderino non emigrare. Per questo, prima dell’economia, il punto di partenza è la promozione umana».

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Modera

Mario Giro

Saggista, Comunità di Sant’Egidio, Italia


Interventi

Anne Désirée Ouloto

Ministro di Stato, Ministro della funzione pubblica e della modernizzazione dell'amministrazione, Costa d'Avorio

Marc-Antoine Pérouse de Montclos

Istituto di ricerca per lo sviluppo, Centro per lo sviluppo della popolazione (CEPED), Francia

Giulio Albanese

Direttore dell'Ufficio per la cooperazione missionaria, Diocesi di Roma, Italia

Philippe Orliange

Direttore esecutivo, Agence Française de Développement

Jean Mbarga

Arcivescovo cattolico, Camerun

16:00

La guerra non è una fatalità, si deve "immaginare la pace". Non si tratta di trovare formule che si cristallizzano ma, come ha sottolineato Mohammed said Al Amari, ministro degli affari religiosi dell'Oman, ma "immaginare una nuova pace che è un concetto che si evolve e richiede lavoro continuo". Per porre le basi di una pace duratura bisogna rafforzare i diritti umani e guardare al Documento sulla fratellanza umana firmato nel 2019 ad Abu Dhabi da Papa Francesco e dal rettore di Al Azhar Al-Tayyeb. Il problema è che si cristalizzano le guerre, come quella nell'est della Repubblica democratica del Congo che, dice Fridolin Ambongo Besongu, arcivescovo di Kinshasa, dura da 30 anni con 6 milioni di morti e quasi quattro milioni di sfollati interni. Le guerre vanno anche raccontate meglio, con più precisione. Si è sviluppata una vera e propria “economia di guerra” a vantaggio di un ristretto numero di signori della guerra e a scapito della popolazione locale. Così la guerra diventa un business e le milizie pagano i salari a un'intera generazione di giovani disoccupati, compresi i bambini. Non è quindi un caso che le scuole elementari della provincia del Nord Kivu "siano diventate obiettivi militari per costringere i bambini a non sognare un futuro diverso dalla guerra (e colgo l'occasione per ringraziare anche la Comunità di Sant'Egidio per il suo impegno a sostegno dei bambini e degli altri nei campi profughi di Goma)". Tre orientamenti sono decisivi per innescare processi di pace veri: dare voce alle vittime e ascoltarle; non pensare di poter trovare soluzioni unilaterali; cambiare la narrazione, dando priorità alle ragioni della pace rispetto ai disastri della guerra.
Hussein Kavazovic, gran mufti di Bosnia Erzegovina, vi aggiunge un modo particolare di vivere la memoria. Lui ha firmato nel gennaio scorso a Srebrenica, dove furono massacrati oltre 8 mila musulmani, un documento con la Rete internazionale dei figli dei sopravvissuti ebrei alla Shoah: si mantiene aperto un canale di comunicazione tra le due fedi anche nei momenti in cui la violenza sembra prevalere. Le due realtà si sono impegnate a lottare insieme contro guerra, razzismo, discriminazione, che sono stati aspetti che hanno favorito l'incubazione di odio mortale e genocidi.

 

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Interventi

Mohammed Said Al-Maamari

Ministro degli Affari Religiosi, Oman

Fridolin Ambongo Besungu

Cardinale, arcivescovo di Kinshasa, Repubblica democratica del Congo

Donia Kaouach

Direttrice Generale della Fondazione Leaders pour la Paix, Francia

Husein Ef. Kavazović

Gran Mufti di Bosnia e Erzegovina

Nelson Moda

Comunità di Sant'Egidio, Mozambico

16:00

È una lunga storia di amicizia quella che lega Sant’Egidio ai rappresentanti delle grandi religioni dell’Asia. Dalla preghiera di Assisi del 1986 –  ha ricordato Alberto Quattrucci di Sant’Egidio nel suo saluto di benvenuto – "è nato tra noi un linguaggio comune che è il dialogo". La grande Asia: una sfida per le religioni, recitava il titolo del forum all’incontro internazionale ‘Immaginare la pace’.

Le sfide che le società contemporanee in Asia devono affrontare sono molteplici e complesse. Abdul Mukti, segretario generale dell'importante organizzazione islamica indonesiana Muhammadiyyah, ha sottolineato l'importanza di affrontare temi cruciali quali il benessere e la salute mentale, l'invecchiamento della popolazione, l'aumento della solitudine, le crisi umanitarie, i cambiamenti climatici e le disuguaglianze sociali. Questi problemi richiedono non solo risposte pratiche, ma anche un nuovo livello di armonizzazione tra le religioni, che Mukti vede come fondamentale per immaginare un futuro di pace.

Secondo Antonio Salimbeni, del Movimento dei Focolari, il dialogo ha un potere trasformante, poiché si basa sull'ascolto reciproco e sul rispetto delle differenze. In questo senso, un continente come l'Asia, caratterizzato da una straordinaria pluralità religiosa, diventa un vero e proprio laboratorio di dialogo interreligioso.

Didi Talwalkar, dall’India, leader del Movimento Swadhyaya, ha espresso la convinzione che, sebbene molte volte la religione venga usata per dividere l'umanità, la devozione a Dio onnipotente può solo unire e mai dividere l'umanità, poiché esiste un solo Dio onnipotente. Kojitsu Kobori, capo sacerdote del tempio Sanzen-in di Kyoto, ha sottolineato due grandi sfide contemporanee: la povertà e il cambiamento climatico. Richiamando alla memoria gli incontri di preghiera per la pace tenuti sul monte Hiei, ha rimarcato l'importanza del rispetto per ogni religione e ogni forma di vita.

Secondo Kobori, l'Asia dovrebbe muoversi in questa direzione. Jsunekiyo Tanaka, presidente di Jinja Honchō, l'organizzazione che rappresenta i luoghi sacri dello Shintoismo in Giappone, ha parlato dell'importanza dei jinja (santuari) e della necessità di preservare la natura e il patrimonio culturale. Richiamando le conseguenze del cambiamento climatico, ha espresso l’urgenza di vivere in armonia con la natura, come insegna lo Shintoismo. L’approccio sostenibile dello Shintoismo può aiutare il mondo a superare la crisi ambientale attuale, incoraggiando il rispetto per la natura e la trasmissione di questi valori alle generazioni future.

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Saluto di benvenuto


Modera

Felix Anthony Machado

Arcivescovo cattolico, India


Interventi

Swami Atmarupananda

Monaco della Missione Ramakrishna, India

Kojitsu Kobori

Buddismo Tendai, Giappone

Hideki Morioka

Buddismo Nichiren-Shu, Giappone

Abdul Mukti

Segretario generale della Muhammadiyyah, Indonesia

Bhai Sahib Mohinder Singh Ahluwalia

Guida spirituale e presidente del Guru Nanak Nishkam Sewak Jatha, India

Tsunekiyo Tanaka

Presidente, Shintoismo Jinjya-Honcho, Giappone

16:00

I testimoni di Hiroshima e Nagasaki stanno scomparendo. ''Dopo che le due bombe furono usate contro Hiroshima e Nagasaki, sono state costruite più di 70.000 armi nucleari e sono stati fatti più di 2.000 test. Ancora oggi abbiamo più di 12.500 armi nucleari, con potenza notevolmente superiore", sottolinea Andrea Bartoli (Comunità di Sant'Egidio) in un partecipatissimo panel a 'Immaginare la pace', il convegno internazionale a Parigi.
Toccante la testimonianza di Anna Ikeda coordinatrice dell' Ufficio per gli affari delle Nazioni Unite della Soka Gakkai Internazionale, associazione che lavora da anni al disarmo nucleare, di ispirazione buddista. Anna Ikeda, ha riportato la memoria di una ibakushia, cioè una superstite: “Una cara amica che abitava vicina a me stava aspettando sua madre che doveva rientrare a casa con i suoi quattro fratelli e sorelle. Più tardi, mi ha detto che il secondo giorno dopo il bombardamento, un grumo nero che si muoveva strisciò in casa. Subito pensarono che fosse un cane nero, ma presto si resero conto che si trattava della loro madre; lei collassò e morì quando infine raggiunse i suoi figli. Cremarono il suo corpo nel cortile”. "Chi merita di fare una simile morte? - ha domandato Ikeda - Nessuno! Eppure il nostro mondo continua a spendere miliardi di dollari per mantenere i nostri arsenali nucleari!".
Jean Marie Collin, direttore Ican e premio Nobel per la Pace nel 2017, ha messo in guardia dalla 'deterrenza nucleare' che accresce in maniera esponenziale il rischio nucleare nei maggiori conflitti attivi: "L'unica soluzione è metterle fuori legge". Al confronto è giunto anche un messaggio dell'Alta Rappresentante per gli Affari del Disarmo delle Nazioni Unite, Izumi Nakamitsu, che ha sottolineato come "l'unico modo di onorare le vittime è ricordarle e lavorare per il disarmo nucleare".
Ha portato una testimonianza in video messaggio Wester John Charles, arcivescovo cattolico, a Santa Fe, in New Mexico, dove fu testato il nucleare nel 1945, lasciando conseguenze fino ad oggi' L'arcivescovo ha sottolineato come, l'insistenza della Comunità di Sant'Egidio per la Pace "mi ha ispirato più volte a perseverare in questa causa del disarmo nucleare'.
E' intervenuto anche Emmanuel Dupuy, Presidente del “Institut Prospective et Sécurité en Europe”.
Al termine Andrea Bartoli ha consegnanto a ciascuno dei partecipanti un nome, scritto su un foglio, di una persona uccisa dal nucleare ad Hiroshima, da portare ad altri.
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interventi 

Modera

Andrea Bartoli

Presidente della Fondazione Sant'Egidio per la pace e il dialogo, USA


Interventi

Emmanuel Dupuy

Presidente del “Institut Prospective et Sécurité en Europe”, Francia


Videomessaggio

Izumi Nakamitsu

Alto Rappresentante per gli Affari del Disarmo delle Nazioni Unite

John Charles Wester

Arcivescovo cattolico, USA


Ivana Nikolic Hughes

Presidente, Nuclear Age Peace Foundation

Anna Ikeda

Coordinatrice del programma per il disarmo, Ufficio per gli affari delle Nazioni Unite della Soka Gakkai Internazionale

16:00

Cosa fare quando gli orrori del terrorismo e della guerra rendono il cuore muto e sordo? La preghiera è una forza interiore che rimette in discussione, che sblocca oltre le possibilità della ragione e ridona libertà interiore. Lo testimoniano a Parigi le parole di Jacques Mourad, arcivescovo siro-cattolico: "Sono stato ostaggio più di quattro mesi in un bagno ma è stato per me un momento di grazia, ho vissuto in simbiosi con Dio, sostenuto dal rosario, ho sentito la Vergine Maria accompagnarmi nella prigionia. Nei momenti di disperazione, il rosario mi ha donato la pace nel cuore. Non mi hanno fatto perdere mitezza e sorriso nonostante le percosse. Ho guardato negli occhi i rapitori, con uno sguardo di amore. Loro erano prigionieri di odio, non io. Questa libertà interiore è una grazia che ci dà Dio per essere fedeli al suo amore. La preghiera vince sul male". A Mar Mousa col "cibo" della preghiera e della meditazione, Jacques Mourad ha vissuto tutto questo e "credere in questo aiuta i giovani a vivere una libertà interiore".
Il vescovo francese Emmanuel Tois, parla della preghiera come una forza diplomatica che comincia ad esprimersi "quando l'uomo si riconosce povero davanti a Dio". Si crea allora un clima interiore che combatte l'odio, come ha sostenuto a Parigi anche Abu Al-Qasim Al-Dibaji, della World Organization of Pan-Islamic Jurisprudence (Kuwait). A questo riguardo Angela Kunze-Beiküfner ha parlato della forza del digiuno fatto a Berlino perché cadesse il muro. "Più diventiamo uomini di preghiera più ci sentiamo responsabili verso il mondo", sostiene frère Mathew della Comunità di Taizé: "Nulla è più responsabile che pregare", richiamando l'osservazione di Olivier Clement sul nesso tra vita spirituale e solidarietà umana. Mathew ha partecipato a una marcia di 33 km portando insieme a tanti altri un sasso col nome di una persona in guerra per chiedere la pace: "La preghiera aiuta ad affrontare la complessità senza perdersi nello sconforto". Per Swami Amarananda (Ramakrishna Math and Mission, India) "Preghiera vuol dire che ci manca qualcosa e che siamo impazienti di ottenerla. La preghiera può essere un antidoto contro l'odio, perché silenzia automaticamente il male".

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interventi 

Modera

Marco Gnavi

Comunità di Sant’Egidio, Italia


Interventi

Serafim

Metropolita ortodosso, Patriarcato di Romania

Abu al-Qasim al-Dibaj

Organizzazione mondiale Pan-Islamic Jurisprudence, Kuwait

Frère Matthew

Priore della Comunità di Taizé, Francia

Swami Amarananda

Ramakrishna Math and Mission, India

16:00

C’è una connessione tra la transizione ecologica e la ricerca della pace? Se lo sono chiesto leader religiosi, attivisti, intellettuali, rappresentanti delle majors dell’energia nel corso dell’incontro “Imaginer la paix” organizzato da Sant’Egidio a Parigi. Dopo la crisi mondiale seguita alla pandemia da Covid-19, le questioni legate allo sviluppo sostenibile sembrano essere scomparse dalla maggior parte delle agende politiche e dalle homepage dei media dell'Occidente.
Durante il forum “La transizione ecologica è ancora in agenda?”, Gaël Giraud economista della Georgetown University di Washington ha spiegato questo disinteresse riportando un fattore decisivo: alla fine del 2022 la maggior parte dei riassicuratori (le compagnie di cui si avvalgono le Assicurazioni per assicurarsi a loro volta) rifiuta di coprire gli assicuratori contro i danni causati dagli eventi meteorologici estremi come inondazioni, siccità e uragani, proprio mentre questi eventi sono destinati ad aumentare di numero e gravità a causa del riscaldamento globale. «Quindi possono succedere due cose – ha spiegato Giraud – O lo Stato interviene come assicuratore di ultima istanza, oppure rinuncia a salvare i suoi cittadini dal prossimo disastro, simile alle inondazioni che stanno devastando l'Europa dell'Est proprio in questi giorni. La difficoltà, ovviamente, è che le finanze pubbliche di molti Stati sembrano troppo fragili per potersi permettere perdite di diverse decine di miliardi ogni volta che un uragano o una siccità colpiscono il loro territorio». Ma il vero tema è la connessione tra ecologia e guerra: «Le tensioni geopolitiche – ha spiegato ancora Giraud – hanno convinto alcuni gestori patrimoniali che ora l'urgenza è quella di finanziare il settore della difesa, soprattutto negli Stati Uniti, dove l'industria degli armamenti sta lavorando a pieno ritmo per alimentare la resistenza ucraina».
Inoltre la guerra è un ostacolo alla transizione ecologica anche «perché spinge i paesi verso la sovranità energetica e il carbone è l’energia più sovrana» ha spiegato Aurélien Hamelle, direttore generale della Strategia e Sostenibilità di Total Energies. «E l’altro ostacolo è all’interno dei Paesi – ha continuato Hamelle – perché il dibattito su questi temi è estremamente polarizzato e preso in ostaggio dalla politica. Ma questo è un problema: questi dovrebbero essere temi bipartisan».
I rappresentanti delle fedi religiose hanno proposto la riflessione spirituale come antidoto agli “egoismi dei singoli e delle nazioni” che contrastano i progressi nella transizione ecologica: «La teologia cristiana – ha spiegato la vescova Kristina Kühnbaum-Schmidt, Presidente del Comitato Nazionale della Federazione Luterana Mondiale in Germania – in passato ha descritto l’uomo come padrone del creato, ma questa visione è cambiata si è sviluppata una mentalità ecologica e una ‘ecoteologia’». E Moriyasu Ito, esponente del Scintoismo Meiji Jingu ha proposta l’antica saggezza shintoista come esempio di rapporto equilibrato e grato con la natura: «Stiamo vivendo in un'epoca in cui è necessario non solo implementare importanti provvedimenti e normative sociali – ha spiegato – ma anche apportare cambiamenti nei nostri modi di pensare individuali su scala globale».
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interventi 

Modera

Sudheendra Kulkarni

Indù, Fondatore del "Forum for a New South Asia”, India


Interventi

Cécile Duflot

Direttrice generale Oxfam France



Interventi

Kristina Kühnbaum-Schmidt

Presidente del Comitato Nazionale della Federazione Luterana Mondiale in Germania

Aurélien Hamelle

Direttore generale Strategia e Sostenibilità, Total Energies SE, Francia

Isabelle Rosabrunetto

Direttore Generale del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione, Principato di Monaco

16:00

"La vita delle persone ha sempre meno valore": vale per i contesti di guerra, ma anche per i Paesi in pace. “Il Covid – spiega Vincenzo Paglia, Presidente dell’Accademia pontificia per la Vita  - ha colpito gli anziani perché erano già scartati. C’è un problema culturale enorme: il virus dell’individualismo che scarta gli anziani e procura solitudine. Abbiamo preparato una legge approvata dal Parlamento per potere permettere agli anziani di viver nella casa dove sono vissuti: ma  è a zero finanziamenti. E’ necessario un cambiamento totale, ma cambiare è possibile”. 
La filosofa dell'Università La Sapienza Donatella Di Cesare parla del "sovranismo del'Io", che si affianca al sovranismo politico, per descrivere le "vite non degne di lutto perché vulnerabili". Si vede molto bene in carcere, dove "chi ha commesso un crimine è considerato un essere superfluo che può essere abbandonato e bandito". In realtà - ci ha insegnato Emmanuel Lévinas, l"Io si costituisce solo nel voltarsi per rispondere all'altro".  A Parigi si “Immagina la pace”, come è chiamato l’incontro internazionale della Comunità di Sant’Egidio in corso dal 22 al 24 settembre, anche per ridare valore all’unicità di ogni essere umano, agli anziani ad esempio. 
Il dolore dell'Ucraina è nella testimonianza del greco-cattolico ucraino Yuriy Pidlisnyy, quello dei malati mentali del Benin, liberati dalle catene, nelle parole di Grégoire Ahongbonon, mentre Cristoph Martin del Comitato Internazionale della Croce Rossa cita i segni di speranza e rinascita visti nei contesti di guerra del Congo e della Bosnia: "Laddove le autorità non sono state capaci di rispettare il diritto internazionale, ho assistito all'impegno dei civili per preservare l'umanità di fronte all'orrore della guerra". Don Stefano Stimamiglio, direttore di Famiglia Cristiana, ha notato il ruolo dei media: "Influenzano il nostro modo di vedere e possono promuovere o respingere la cultura dello scarto. Anche la comunicazione dei social media, basata sull'impatto emotivo e con immagini troppo forti che impediscono di pensare, favoriscono sentimenti bellicisti e di disprezzo".
 
 
 
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interventi 

Relatori

Vincenzo Paglia

Arcivescovo, Presidente della Pontificia Accademia per la vita, Santa Sede

Donatella Di Cesare

Filosofa, Sapienza Università di Roma, Italia

Yuriy Pidlisnyy

Capo Dipartimento dei laici e della famiglia, Chiesa greco-cattolica ucraina

Christoph Martin

Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR)

Grégoire Ahongbonon

Scrittore, Attivista per i diritti delle persone vulnerabili, Benin

16:00

Comprendere i bambini e amarli è cercare di interloquire spesso con qualcosa di invisibile. Vorremmo dare loro tutto, ma “sappiamo ascoltare le loro domande più profonde?” domanda Hilde Kieboom introducendo un confronto a più voci a Parigi, all’incontro internazionale di Sant’Egidio ‘Immaginare la pace’, proprio dedicato ai piccoli. 
Dominique Versini, vice sindaco di Parigi, è direttamente coinvolta nei ripetuti arrivi di minori non accompagnati, dopo viaggi di pericoli e violenze, da famiglie sacrificate pur di dare loro futuro. "Proteggeteci dalle violenze, anche a scuola”, dicono. Quando ogni cinque giorni in Francia un bambino muore di percosse in famiglia e uno su dieci è esposto a violenza sessuale, va ribadito il diritto di non vivere nella guerra o nella più grande miseria.
Il vescovo cattolico ucraino Vitaliy Krivitskiy, riporta non solo i numeri del dramma, ma le voci dei bambini: "Non andare mai in rifugio sotterraneo a scuola", "Tornare a casa", "Vorrei che mio padre stesse bene in cielo","Le persone saranno tutte volontarie e si aiuteranno a vicenda". Aggiunge il vescovo: i volontari sono difensori senza armi. I nostri bambini “sanno che il loro padre non tornerà a casa dal fronte se la comunità internazionale non sarà interessata a una giusta risoluzione del conflitto”.
Adriana Gulotta coordina le Scuole della Pace di Sant'Egidio e ricorda che le guerre si accaniscono contro i bambini anche quando i riflettori dei media non sono accesi, come in Sudan o nel Nord del Mozambico. “Uccidere i bambini, infatti, non è più un tabù nel nostro mondo”, dice, condividendo anche una grande preoccupazione per “una generazione che vive di emozioni è sempre più incapace di empatia, ragazzi che hanno con sé i coltelli per farsi rispettare e poi finiscono per uccidere. Spesso senza un motivo”. A volte solo per rabbia, incapacità di gestire il conflitto, invidia. Ma è “il mondo adulto ad avere sostituito, per primo, i sentimenti con le emozioni... le  emozioni sono brevissime, e la vita diviene una corsa continua alla loro ricerca”. Quando la situazione è insostenibile per troppi bambini nel mondo, Gulotta ribadisce che “noi non siamo impotenti. Ovunque ci si può prendere cura e responsabilità, non solo nelle nostre scuole della pace o nelle famiglie, sempre più caricate di oneri”.
Latifa Ibn Ziaten è testimone, anche come presidente della Association pour les jeunes et la paix (Imad), della passione perché i giovanissimi in Marocco non cadano, per un vasto senso di disagio ed estraniamento, nella disperazione e nella tratta dell’emigrazione.
Elena Malaguti, pedagogista dell’Università di Bologna, segnala quanto in Italia cali la tensione educativa, la sfida di educare alla pace e alla condivisione quando la cultura è di performance e sopraffazione. Quando le istituzioni indietreggiano, le nuove generazioni devono ricostruire sistemi di protezione, reti di collaborazione fra chi ha diversi ruoli e competenze, in aiuto dei più feriti, affinché si possa parlare di resilienza: perché, dice "non c'è nulla che può cancellare quello che viviamo. Non puoi crescere se non hai un noi che può aiutare a capire, quando sei un piccolo e qualcosa nel tuo mondo salta mentre tu sei impotente”.
Padre Enzo Fortunato, riporta la coinvolgente esperienza della “giornata mondiale dei bambini” con Papa Francesco, affermando che fare posto all'incontro con migliaia di bambini, quelli che sanno insegnare ai grandi che “perdonare e chiedere scusa è il metodo della pace”, è la risposta della Chiesa che esce dall'angolo, dalla paura di essere luce e profezia.
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interventi 

Modera

Hilde Kieboom

Comunità di Sant’Egidio, Belgio


Interventi

Dominique Versini

Vicesindaco di Parigi, responsabile dei diritti e della protezione dell’infanzia, Francia

Adriana Gulotta

Coordinatrice delle Scuole della Pace, Comunità di Sant'Egidio, Italia

Latifa Ibn Ziaten

Testimone, Presidente Association pour les jeunes et la paix (IMAD), Francia

Elena Malaguti

Pedagogista, Università di Bologna, Italia

Enzo Fortunato

Coordinatore World Children's Day, Santa Sede



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